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Parola d’ordine: unità. È l’obiettivo che si è data l’Anm da qui fino almeno all’incontro in programma con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella per la fine di marzo. Un appuntamento già fissato, previsto ogni volta che viene eletta una nuova Giunta dell’Associazione magistrati, ma che avrà un significato più profondo. in un momento di grave crisi istituzionale tra la politica e le toghe, riaccesasi ancor di più dopo l’ordinanza delle sezioni unite civili della Cassazione in merito ai migranti trattenuti sulla nave Diciotti.
A quanto si apprende, il “sindacato” dei magistrati avrebbe confidato in un richiamo del Colle, dopo le critiche feroci arrivate dalla maggioranza contro gli ermellini. Mattarella non è intervenuto. Ma l’auspicio – spiega al Dubbio qualche componente del parlamentino Anm – è che il Quirinale possa farsi sentire magari a ridosso del referendum sulle carriere separate. La sensazione che serpeggia tra i magistrati è che in ogni caso il Capo dello Stato non sia certo un “tifoso” della riforma Nordio, e che lo abbia lasciato intuire nel suo ultimo intervento al Csm: «Il presidente Mattarella è veramente un punto di riferimento per tutti i magistrati italiani: anche con le sue recenti dichiarazioni sul tema dell’indipendenza, ancora una volta ha dimostrato di essere una figura straordinaria per chiarezza, lucidità e coraggio, e quindi andremo a salutarlo molto volentieri», ha detto il presidente dell’Anm Cesare Parodi.
Sta di fatto che al momento vanno eliminate alla radice, o sospese dagli ordini del giorno del “parlamentino”, tutte le questioni che potrebbero minare almeno in apparenza la compattezza del “sindacato”, uscito rafforzato dallo sciopero contro la separazione delle carriere e che ha visto l’adesione dell’ 80 per cento dei magistrati (dato mai smentito dal ministero della Giustizia). Due sono i segnali che spingono verso idea di “tregua interna”.
Primo: sabato scorso, Domenico Pellegrini, componente del Comitato direttivo centrale (il “parlamentino”, appunto) in quota AreaDg, aveva presentato una mozione di fiducia verso la nuova Giunta, dal testo molto semplice: «Il Cdc esprime pieno apprezzamento all’operato della Giunta in ordine alle attività di preparazione e organizzazione sia dello sciopero che dell’incontro con la presidente del Consiglio». La mozione è stata ritirata dallo stesso proponente dopo qualche ora: si era capito che, paradossalmente, proprio alcuni membri di Magistratura indipendente, la corrente di Parodi, si sarebbero potuti esprimere contro.
Come più spesso raccontato, esiste una parte della corrente conservatrice dell’Anm che avrebbe voluto un dialogo col governo, e che sarebbe stata disposta anche ad “accontentarsi” del sorteggio temperato, a dispetto della linea maggioritaria all’interno della Giunta. Adesso quell’ala trattativista si ritrova a dover portare avanti la battaglia contro la separazione delle carriere proprio con un presidente di “Mi”.
A creare una frattura ha provveduto il gruppo dei “CentoUno”, che conta due componenti in Cdc, Andrea Reale e Natalia Ceccarelli. I due hanno diffuso una nota in cui, tra l’altro, hanno lamentato di non essere stati invitati a far parte della delegazione che ha incontrato il governo il 5 marzo, e hanno annunciato che «la nostra posizione, da oggi e per il futuro, sarà di favore alla riforma nell’esclusiva parte in cui essa prevede l’introduzione del sorteggio dei Consiglieri superiori».
Secondo indizio della “tregua” nella maggioranza Anm: sempre “Mi” aveva presentato una integrazione all’odg per regolamentare la partecipazione dei magistrati alle iniziative organizzate dai partiti politici. Il tutto, benché non esplicitato, nasce dal recente intervento in un dibattito contro la separazione delle carriere organizzato da un circolo Pd di Roma con la responsabile giustizia dem Debora Serracchiani e l’ex segretario di AreaDg, Eugenio Albamonte.
I contrari all’iniziativa di “Mi” ricordano che era stato proprio l’ex presidente Anm Giuseppe Santalucia a intervenire in un faccia a faccia col ministro Nordio sul palco di Atreju. «Sarebbe inimmaginabile che, con l’intensificarsi della campagna referendaria, si vietasse ad esempio a Parodi di partecipare a questo tipo di eventi, che offrono grande visibilità», dice un togato di area progressista. E Stefano Celli di “Md” aggiunge: «Smettiamola di essere ipocriti, i magistrati votano: perché non intervenire ai dibattiti? La nostra imparzialità si misura con le motivazioni delle sentenze». Altri ricordano che sempre dal palco della kermesse di Fratelli d’Italia era intervenuta la pm Annalisa Imparato, editorialista del “Tempo”. Mentre per Gerardo Giuliano di “Mi”, «la foto di un collega in un circolo con la bandiera di partito alla spalle» creerebbe un grave danno d’immagine all’Anm e all’intera campagna anti- riforma.


La diversità di vedute si è manifestata anche ai vertici: mentre Parodi, prima dell’inizio del dibattito, ci aveva detto, senza prendere una posizione netta, che comunque occorre «porsi il problema dell’immagine esterna e valutare la ricaduta di ogni uscita pubblica», il segretario Rocco Maruotti non aveva mostrato tentennamenti: «Se FdI o il Pd mi invitano a parlare di separazione delle carriere, io vado. A qualificare un magistrato è ciò che dice e come lo dice, non il contesto dove lo fa».
La discussione in Cdc si preannunciava dunque infuocata, soprattutto con Md e Area pronte ad alzare le barricate contro Mi. Alla fine «con un accordo» definito da Parodi «tra gentiluomini» si è deciso di rinviarla al Cdc di aprile: meglio privilegiare per ora l’unità ritrovata.