Un duello ricco di spunti. Materia per scienziati della politica. La dialettica, per definirla così, fra Anm e governo, e fra Anm e partiti, è un laboratorio. E conferma un dato: i magistrati, con il potere e con la comunicazione, ci sanno fare. E saranno un avversario insidiosissimo, per Giorgia Meloni e per il suo Esecutivo quando, fra meno di un anno, si batteranno per il No nella campagna referendaria sulla separazione delle carriere.
Con Carlo Noirdio si è tratta di un incontro «aperto e franco». E anche con la delegazione parlamentare di Fratelli d’Italia, che la giunta guidata da Cesare Parodi ha visto nel pomeriggio, ci si è parlati in un clima «cordiale e costruttivo», come spiega il presidente dei senatori FdI Lucio Malan. Che, interpellato dal Dubbio, aggiunge: «Non si è parlato d’altro che di riforma costituzionale, dei rischi che, secondo i magistrati, la modifica comporterebbe e della necessità di discuterne su un piano di reciproco rispetto».

Uno dei “vice” di Parodi ha precisato, conferma Malan, che «è interesse innanzitutto della magistratura evitare una campagna referendaria ridotta a scontro fra istituzioni». Una frase che ridimensiona, in astratto, l’ipotesi prefigurata dallo stesso vertice del “sindacato” subito dopo il colloquio precedente, quello mattutino con il guardasigilli: a una cronista che gli chiedeva se un comitato dell’Anm per il No al referendum sulle “carriere” fosse non solo verosimile ma se addirittura potesse accogliere i partiti di opposizione, Parodi ha replicato «ne parliamo con tutti, e lo facciamo, evidentemente, per qualche ragione».

Si può dire dunque che l’Associazione magistrati preferisce lasciarsi aperte diverse strade: dall’opzione di un profilo rigorosamente istituzionale, con una campagna per il No tendenzialmente “soft”, più pedagogica che politica, fino all’approdo estremo di una mobilitazione clamorosa, scandita dal solenne allarme per “l’attacco alla Costituzione e alla democrazia”, al fianco magari di Pd, 5 Stelle e Avs.
Tutto è possibile, tutto è da decidere. Ma una cosa è certa: l’Anm sa farsi, anzi è già e sarà sempre più un primattore del dibattito pubblico. Detterà quasi la linea a Meloni, Nordio e all’Esecutivo, o almeno lo terrà sotto pressione, più o meno come un governo-ombra, seppur circoscritto alla materia giudiziaria.

È vero che, come conferma il comunicato diffuso da via Arenula, su molti temi Nordio e Parodi si sono scoperti disponibili a una «azione bilaterale», sebbene non si sentano perfettamente d’accordo su tutto. È vero che mai come ora si è trovata una «sintonia» su temi controversi come il penale telematico e l’uso dell’intelligenza artificiale nel tribunali. E anche vero però che ora il sindacato delle toghe ha le carte in mano, ha l’inerzia della partita dalla propria parte: potrà cioè richiamare l’Esecutivo alle proprie responsabilità e alle proprie eventuali “inadempienze”.

In particolare sulle materie affrontate ieri col ministro della Giustizia che siano intrecciate con stanziamenti di risorse: dalla stabilizzazione degli amministrativi precari all’edilizia giudiziaria e alle carenze d’organico che, soprattutto in casi particolari come i procedimenti per femminicidio, rischiano di vanificare le norme appena inserite dal governo nel nuovo disegno di legge.
Che vuol dire? Che l’Anm potrebbe riuscire a tenere mediaticamente in scacco Meloni, alla vigilia del referendum, persino senza dar vita a un vero e proprio comitato per il No. C’è il rischio, per Palazzo Chigi e via Arenula, di vedersi messi all’angolo dalla magistratura su temi diversi dalla separazione delle carriere, ma secondo uno schema che farebbe comunque apparire l’Esecutivo in affanno e, appunto, inadeguato sulla giustizia. Col risultato di orientare gli elettori, al referendum, verso posizioni vicine all’Anm anziché alla maggioranza di centrodestra.