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La Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha emesso una sentenza unanime nel caso di Pindo Mulla vs Spagna (n. 15541/ 20), stabilendo che la Spagna ha violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare (articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo) e la libertà di pensiero, coscienza e religione (articolo 9). La decisione riguarda la somministrazione forzata di trasfusioni di sangue ad una testimone di Geova, durante un intervento chirurgico di emergenza, nonostante la donna avesse chiaramente espresso il suo rifiuto di tale trattamento per motivi religiosi.
Rosa Edelmira Pindo Mulla, cittadina ecuadoriana residente a Soria, in Spagna, è una testimone di Geova, una confessione religiosa che rifiuta le trasfusioni di sangue, considerate sacre, per motivi basati su interpretazioni bibliche. Per i testimoni di Geova, accettare una trasfusione significherebbe violare il comando divino di astenersi dal sangue, anche in situazioni di pericolo per la vita.
Nel 2017, a seguito di un esame medico, le fu consigliato un intervento chirurgico. In previsione di qualsiasi trattamento, la donna aveva redatto due documenti legali: una direttiva anticipata e una procuraduratura, registrati nel sistema sanitario regionale, con cui rifiutava categoricamente le trasfusioni, accettando solo alternative mediche compatibili con le sue convinzioni religiose.
Il 6 giugno 2018, Pindo Mulla venne ricoverata d’urgenza all'ospedale di Soria per un'emorragia interna grave che le causò anemia. La sera stessa, dopo il consulto medico, ribadì il suo rifiuto scritto di sottoporsi a una trasfusione. Tuttavia, a causa del peggioramento delle sue condizioni, il giorno successivo venne trasferita in un ospedale a Madrid, specializzato in trattamenti alternativi.
Durante il trasporto, i medici, preoccupati per la gravità della situazione, consultarono il giudice di servizio. Nonostante la donna fosse «cosciente, orientata e cooperativa», come riportato nei registri medici, e avesse già espresso chiaramente il suo rifiuto, il giudice autorizzò la trasfusione sulla base di informazioni incomplete, poiché non erano state adeguatamente comunicate le direttive mediche anticipate della paziente. Così, durante l'operazione, le furono somministrate tre trasfusioni di sangue.
Pindo Mulla scoprì l'accaduto solo il giorno successivo e, sentendosi violata nei suoi diritti religiosi e personali, intraprese un'azione legale contro il Regno spagnolo. Il suo ricorso fu respinto in appello e successivamente dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale. Nel 2020, portò la questione davanti alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, lamentando la violazione del suo diritto all’autodeterminazione e alla libertà religiosa.
La Grande Camera della Corte ha chiarito che il caso non riguardava la validità delle valutazioni mediche, ma se il processo decisionale avesse rispettato l’autonomia della paziente. La Corte ha sottolineato che un paziente adulto, in pieno possesso delle sue facoltà, ha il diritto di rifiutare qualsiasi trattamento, compresa una trasfusione di sangue. Tuttavia, ha anche riconosciuto che, in situazioni di emergenza, la protezione della vita può richiedere una riconciliazione con il diritto all’autodeterminazione.
Secondo la Corte, il sistema sanitario spagnolo ha fallito nel garantire che le informazioni corrette fossero fornite al giudice di servizio, influenzando negativamente il processo decisionale.
Inoltre, la Corte ha criticato il fatto che né la paziente né i suoi familiari fossero stati informati della decisione giudiziaria, impedendo loro di contestarla in tempo utile. La sentenza sottolinea che, quando uno Stato decide di adottare un sistema di direttive anticipate, deve garantire che queste funzionino in modo efficace e siano rispettate dai medici e dalle autorità.
La Corte ha concluso che la Spagna aveva violato i diritti della signora Pindo Mulla e l'ha condannata a versare 12.000 euro per danni morali e 14.000 euro per spese legali.