Per la procura, Giovanni Toti può reiterare i reati e serve più tempo per individuare i soggetti da sentire. Per la difesa, rappresentata da Stefano Savi, il pericolo non sussiste: Toti, infatti, non si ricandiderà alle elezioni regionali. Sono queste le argomentazioni contrapposte esposte davanti al Tribunale del Riesame, che si pronuncerà nel giro di due giorni sulla revoca dei domiciliari al presidente della Liguria.

In un’ora e mezza, Savi ha esposto le ragioni per le quali il politico - finito ai domiciliari l’8 maggio con l’accusa di corruzione - dovrebbe essere rimesso in libertà o, quanto meno, avere una misura più blanda. Secondo Savi, i domiciliari non sarebbero più necessari, dal momento che Toti «non è accusato di aver intascato né un euro né una utilità personale, ma solo di finanziamenti pubblici e registrati alla propria forza politica». Più consono, in caso non si decidesse di rimetterlo totalmente in libertà, pensare ad un divieto di dimora a Genova, «che manterrebbe, per la legge Severino, la sospensione dall’incarico istituzionale di presidente», come nel caso di Giancarlo Pittella in Basilicata, o l’obbligo di dimora nel Comune o provincia di residenza, «che, pur annullando la sospensione della carica istituzionale, tuttavia ne sottoporrebbe l’esercizio ad un fattivo controllo del giudice, autorizzante ogni spostamento», come nel caso di Mario Oliverio in Calabria. Governatori, per inciso, poi assolti dai fatti contestati.

Per Savi, inoltre, sarebbe da annullare il divieto assoluto di comunicazione con terzi, esclusi quelli coinvolti nell’inchiesta. Misure che, per il legale, potrebbero «riequilibrare, almeno parzialmente, le esigenze di inchiesta a quelle di agibilità politica e istituzionale del governatore. Un equilibrio che anche la Corte costituzionale ritiene indispensabile nella sua giurisprudenza e non valutato adeguatamente nel caso di specie». E qui entra in gioco il presidente emerito della Corte costituzionale Sabino Cassese, al quale Savi ha chiesto un parere depositato al Riesame.

Citando varie sentenze della Consulta, Cassese ha sottolineato la necessità di un «ragionevole bilanciamento di una molteplicità di diritti», tra i quali quello al buon andamento dell’amministrazione. «La varietà dei compiti, attinenti alle funzioni legislativa e amministrativa, oltre che ai rapporti con altri soggetti, nazionali e transnazionali, richiede una continuità delle varie attività del presidente - scrive Cassese -, attività che implicano la presenza, e alle quali il vicario può supplire solo temporaneamente, ciò che vuol dire per una durata limitata di tempo». Se l’impedimento non è temporaneo, subentrano le dimissioni (che Toti non concederà alla procura) e, in tal caso, lo scioglimento dell’amministrazione. Un impedimento non temporaneo, dunque, «produce effetti sul funzionamento di un ente pubblico rappresentativo come la Regione, bloccandone l’attività, produce effetti su numerosi altri soggetti».

Dunque, nell’emettere misure cautelari è necessario tener conto «non solo della gravità dei fatti, ma anche degli effetti che si producono, direttamente e indirettamente, sul buon andamento della pubblica amministrazione, che richiede la continuità dell’attività amministrativa, nonché sul rispetto della volontà popolare manifestata con la scelta del presidente “per diretta investitura popolare”». Un bilanciamento che, nel caso di Toti, non ci sarebbe stato. Per Cassese, dunque, la misura cautelare è irragionevole, «dovendo necessariamente il giudice rispettare l’obbligo di operare una ponderazione» tra tutti gli elementi citati.

Il presidente emerito si richiama anche alla sentenza della Consulta che, nel 1981, ha interpretato l’articolo 48, comma 4, della Costituzione in senso estensivo. Secondo tale articolo, «il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge». Per la Consulta, è di «rilievo costituzionale» che «l’interesse alla conservazione dei collegi eletti dal popolo» non venga «sacrificato, se non in considerazione di effettive necessità di giustizia». Tutte cose che, secondo Cassese, vanno prese in considerazione, con la possibilità, in caso contrario, di promuovere un giudizio di costituzionalità.

Secondo Savi, a rendere «astrattamente impossibile» il rischio di reiterazione del reato sono anche fatti nuovi, sopravvenuti nell’ultimo mese. In primis il commissariamento del porto di Genova, che «rende impraticabile ogni azione di influenza sulla struttura, come citato dal gip relativamente al Piano regolatore, per mero esempio». Ma anche la conclusione delle pratiche relative all’apertura dello Store Esselunga citato nelle indagini, «la cui definitiva approvazione è stata deliberata dalla giunta regionale al termine dell’iter istruttorio degli uffici nella prima settimana di giugno, in assenza ovviamente del presidente». Quanto alle elezioni, le prossime, tra un anno e tre mesi, sono quelle per il rinnovo del Consiglio regionale e Toti non parteciperà, complice il limite dei due mandati. Impossibile, aggiunge Savi, immaginare che il governatore si faccia versare altro denaro in maniera documentata, così come avvenuto per i fatti contestati, «né scaturiscono dalle indagini altre modalità di versamento di denaro, diretto o indiretto».

Per quanto riguarda il rischio di inquinamento probatorio, oggi «appare insostenibile, per altro mancando ogni riferimento a concretezza e attualità. Tutti i fatti sono stati accertati, i testimoni ascoltati, le documentazioni acquisite. Ma c’è di più: Toti non ha mai contestato, ma anzi, confermato ai procuratori, la ricostruzione fattuale di ogni evento - conclude Savi -. Ovvio che il presidente Toti, come ha già dichiarato ufficialmente, si asterrà da comportamenti analoghi almeno fino alla pronuncia dei giudici di merito, non fosse altro per tutelare se stesso da nuove accuse facilmente riscontrabili agli inquirenti».