«Da questo momento torno anche io ad essere un semplice, comune cittadino della nostra bellissima Liguria». A tre mesi dall’arresto con l’accusa di corruzione, Giovanni Toti ha ceduto al diktat dei giudici, rassegnando le dimissioni da presidente della Regione Liguria.

L’annuncio è arrivato con una lunga lettera affidata al suo avvocato, Stefano Savi, nella quali il governatore richiama anche il Parlamento e l’opinione pubblica al dovere «di fare tesoro di questa esperienza e tracciare regole chiare e giuste per la convivenza tra giustizia e politica all’interno del nostro sistema democratico». Regole che il costituzionalista Sabino Cassese, in un parere richiesto dalla difesa, aveva provato a tracciare, senza però convincere i giudici.

Secondo Cassese, nell’emettere misure cautelari è necessario tener conto «non solo della gravità dei fatti, ma anche degli effetti che si producono, direttamente e indirettamente, sul buon andamento della pubblica amministrazione, che richiede la continuità dell’attività amministrativa, nonché sul rispetto della volontà popolare manifestata con la scelta del presidente “per diretta investitura popolare”». Un bilanciamento che, nel caso di Toti, non ci sarebbe stato, al punto da spingere Cassese a ritenere irragionevoli gli arresti domiciliari inflitti a Toti, «dovendo necessariamente il giudice rispettare l’obbligo di operare una ponderazione» tra tutti gli elementi citati.

Ma niente da fare: per i giudici del Riesame e soprattutto per il gip, che ha firmato una nuova ordinanza di custodia cautelare, era proprio la carica rivestita da Toti a rappresentare il pericolo di reiterazione del reato. Così, nel giorno in cui le opposizioni marciavano su Genova invocando la resa di Toti, la gip Paola Faggioni ribadiva il concetto, ritenendo il pericolo concreto proprio per il fatto che Toti «continua tuttora a rivestire le medesime funzioni e le cariche pubblicistiche, con conseguente possibilità che le stesse vengano nuovamente messe al servizio di interessi privati in cambio di finanziamenti». Un invito, chiarissimo, a dimettersi, ricorrendo ad argomenti, aveva spiegato Savi al Dubbio, «del tutto astratti rispetto ai requisiti di concretezza e di attualità richiesti dalla legge».

La scelta del governatore, ai domiciliari dal 7 maggio, arriva dopo l’approvazione dell’assestamento di bilancio e il rendiconto, «fondamentali per la gestione dell’Ente». Dunque - questo il messaggio - rimanere in sella fino ad oggi sarebbe stato un gesto di responsabilità politica. Anche perché, aveva chiarito in un’altra lettera, le dimissioni sarebbero state sin da subito una scelta «conveniente», che inizialmente aveva respinto proprio per «rispetto» nei confronti della scelta dei cittadini, che per due volte consecutive lo hanno scelto alla guida della Regione. E perché la carica, aveva sottolineato, non appartiene a chi la detiene, ma rappresenta un bene pubblico, di tutti.

La scelta, ora, è «irrevocabile», scrive Toti, che si assume «tutta la responsabilità di richiamare alle urne, anticipatamente, nei prossimi tre mesi, gli elettori del nostro territorio, che dovranno decidere per il proprio futuro». E arriva dopo 80 giorni trascorsi ai domiciliari nella casa di Ameglia, a pochi giorni dalla possibile chiusura delle indagini e dalla richiesta di giudizio immediato sulla quale la procura stava ragionando.

Nella sua lettera, l’ormai ex presidente ringrazia la sua giunta, che «con senso di responsabilità, capacità, onore» ha evitato il blocco dell’Ente. E punta il dito contro l’opposizione, «che, lontana dall’attitudine istituzionale richiesta dal momento, ha saputo solo cavalcare la complessa situazione, dimentica dei suoi stessi valori del passato, di ogni civiltà giuridica, della Costituzione e di quella cultura di governo che dovrebbe rappresentare chi si candida alla guida di una comunità». La parola, dunque, passa ai cittadini, che «sono certo (...) sapranno giudicare e scegliere per il proprio meglio, e sapranno valutare l’impegno messo da tutti noi».

E non manca una stoccata, tra le righe, agli alleati, che «sono certo», dice, sapranno «portare avanti gli ambiziosi progetti che abbiamo cominciato a realizzare per cambiare la nostra terra, senza perdersi in egoismi e particolarismi». Toti si dice «orgoglioso delle tante cose fatte», lasciando le porte aperte per un futuro ancora in politica, «valutate dai magistrati le istanze che l’avvocato Savi si appresta a ripresentare nelle prossime ore».

Il gesto di Toti, spiega Savi al Dubbio, è frutto principalmente di «una valutazione politica su quello che la misura, il processo e una certa campagna di stampa che accompagna il processo potevano provocare rispetto a un ritorno alle urne nel prossimo futuro. Processualmente parlando, l’idea di fare un processo veloce ci piace e l’auspicio è che venga revocata la misura: una volta date le dimissioni non ci dovrebbe essere proprio più nessuna ragione per mantenere la misura in atto».

La decisione è stata «sofferta, ma condizionata quasi totalmente da valutazioni di tipo politico e non semplicemente dalla volontà di poter acquistare la libertà: fosse stato solo per questo avrebbe anche aspettato. Siamo comunque pronti ad affrontare un processo complicato, che dovrà ricostruire e contestualizzare le accuse che così come ci sono state rivolte riguardano soltanto una porzione dei fatti, che andranno risistemati nel contesto generale. Questo credo che ci aiuterà molto a chiarirli e a spiegare che intorno ai fatti contestati si muovevano interessi pubblici e non di un singolo soggetto, come sostiene l’accusa».

Savi presenterà l’istanza di revoca degli arresti domiciliari lunedì prossimo: nel caso in cui venisse accolta, il ricorso in Cassazione contro il rigetto da parte del Riesame decadrà automaticamente.