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Giovanni Toti, ex presidente della Regione Liguria
Chiudere tutto e in fretta. I pm di Genova sono convinti che la prova contro Giovanni Toti, ex presidente della Regione Liguria indagato per corruzione, falso, voto di scambio e violazione della legge sul finanziamento dei partiti, sia evidente e già agli atti. Tanto che lo stesso Toti, nei suoi interrogatori, ha ammesso ogni cosa, dichiarando, semplicemente, di non ritenerlo un reato. Per questo motivo, dunque, la procura ha chiesto - con 30 pagine - il giudizio immediato per il politico, l’imprenditore portuale Aldo Spinelli e l’ex presidente dell’Autorità portuale Paolo Emilio Signorini.
Quello dei pm è un elenco di 35 testimoni, 44 dispositivi elettronici, intercettazioni e 28 informative della Finanza, materiale probatorio che verrà presto messo a disposizione delle difese dei tre indagati. La gip Paola Faggioni - che lunedì ha ricevuto anche la richiesta di revoca dei domiciliari depositata dal legale di Toti, Stefano Savi dovrà adesso verificare se sussistano le condizioni per l’immediato e poi fissare la data del processo. Il tutto entro cinque giorni, quando anche la decisione sulla libertà dell’ex governatore sarà ormai pubblica.
Il rito, che evita l’udienza preliminare, può essere chiesto quando la prova appare evidente, se l’indagato è stato interrogato sui fatti dai quali emerge l’evidenza della prova, se si trova in custodia cautelare e comunque entro 180 giorni dall’esecuzione della misura ( in questo caso entro il 7 agosto). I tre indagati hanno poi 15 giorni, dopo il decreto che dispone il giudizio, per scegliere eventuali riti alternativi come abbreviato o patteggiamento.
Il processo dovrebbe iniziare, comunque, tra ottobre e novembre. La possibilità che Toti torni in libertà, dunque, non confligge con la richiesta avanzata dalla procura. E che da parte degli inquirenti arrivi parere favorevole alla revoca dei domiciliari sembra quasi scontato: per il Riesame, infatti, la ragione per tenerlo ai domiciliari non stava nei futuri appuntamenti elettorali, ma nella carica rivestita. «Non può tornare a governare - avevano scritto i giudici -. Si è mosso come il capo di un’azienda privata». Detto, fatto: con una lettera protocollata venerdì scorso, Toti ha rassegnato le dimissioni in maniera irrevocabile. Nel frattempo, però, è arrivata una nuova legnata: una seconda misura cautelare, sempre ai domiciliari, con l’accusa di un finanziamento illecito da circa 150mila euro, per più di cinquemila passaggi pubblicitari elettorali sul pannello posizionato sulla Terrazza Colombo a Genova in occasione delle elezioni comunali del 2022. Passaggi, secondo gli inquirenti, «offerti da Esselunga spa in modo occulto». E stando a quanto si legge nelle carte, la gip Faggioni, discostandosi dalla linea tracciata dal Riesame, ha riproposto la tesi secondo cui il pericolo di reiterazione del reato sia da considerare anche in relazione agli appuntamenti elettorali, «tenuto conto - si legge nell’ordinanza - anche del fatto che nel 2025 sono calendarizzate le elezioni regionali e che la campagna per la raccolta dei fondi è già iniziata. Tale pericolo - scriveva la gip - si configura vieppiù concreto ove si consideri che il predetto continua tuttora a rivestire le medesime funzioni e le cariche pubblicistiche, con conseguente possibilità che le stesse vengano nuovamente messe al servizio di interessi privati in cambio di finanziamenti» . Insomma, per Faggioni Toti doveva dimettersi.
E ora che lo ha fatto l’unica opzione per tenerlo ancora ai domiciliari sarebbe ribadire il concetto bocciato dai giudici, ovvero il rischio che si ricandidi, nonostante l’ex governatore ha già dichiarato, nel corso del primo interrogatorio, di non volersi ripresentare alle urne.
La decisione arriverà entro venerdì. Nel frattempo, però, l’avvocato Savi ribadisce un concetto: la volontà di chiudere la partita giudiziaria il prima possibile. «La richiesta di giudizio immediato non la valuto negativamente - ha sottolineato -. Ora vedremo, comincia una nuova fase di intenso lavoro».
Un concetto che aveva espresso già nei giorni scorsi, prima delle dimissioni: «L’idea di fare un processo veloce ci piace e l’auspicio è che venga revocata la misura: una volta date le dimissioni non ci dovrebbe essere proprio più nessuna ragione per mantenerla - aveva sottolineato -. Siamo pronti ad affrontare un processo complicato, che dovrà ricostruire e contestualizzare le accuse che così come ci sono state rivolte riguardano soltanto una porzione dei fatti, che andranno risistemati nel contesto generale. Questo credo che ci aiuterà molto a chiarirli e a spiegare che intorno ai fatti contestati si muovevano interessi pubblici e non di un singolo soggetto, come sostiene l’accusa».