L’evento è talmente raro che merita di essere segnalato. Stiamo parlando dell’indagine della procura di Genova a proposito della fuga di notizie relativa al procedimento per truffa aperto nei confronti dell’allora governatore della Liguria Giovanni Toti. La vicenda prende origine da un articolo pubblicato lo scorso 10 marzo su Il Secolo XIX e relativo ad uno stralcio dell’inchiesta aperta a La Spezia a carico di Matteo Cozzani, ex gabinetto di Toti, circa l’assunzione di un collaboratore di un assessore regionale. Assunzione ritenuta illecita in quanto frutto di una sorta di contropartita elettorale.

Il fascicolo in quei giorni era nella esclusiva disponibilità del procuratore di Genova Nicola Piacente, chiuso in cassaforte e non digitalizzato, che lo aveva appena ricevuto dalla pm spezzina Elisa Loris. Il deputato Pino Bicchielli di Noi moderati aveva presentato una interrogazione parlamentare evidenziando la clamorosa fuga di notizie di cui potevano essere responsabili solo coloro che avevano condotto le indagini. La procura di Genova, come riportato ieri dal Giornale, ha anticipato i provvedimenti di Nordio aprendo dunque un fascicolo, al momento senza indagati.

Cosa accadrà adesso è tutto da vedere. I precedenti non sono di buon auspicio. In questi anni, infatti, quasi mai si è arrivati ad una compiuta identificazione dei pubblici ufficiali che hanno passato gli atti ai giornali. La fuga di notizie più clamorosa della storia è certamente quella legata alla maxi indagine Consip condotta dalla procura di Napoli. Agli inizi del 2017 finì nelle redazioni di alcuni quotidiani l’intera informativa, che poi ne pubblicarono anche le parti coperte dagli omissis.

Sul punto, il vice presidente del Consiglio superiore della magistratura dell’epoca, Giovanni Legnini, era stato molto netto: «A memoria non ricordo una fuga di notizie di queste proporzioni. Una intera informativa della polizia giudiziaria, composta da oltre mille pagine, è finita nelle redazioni di alcuni quotidiani». L’indagine Consip fin dall’inizio era stata caratterizzata da fughe di notizie che avevano condizionato la vita politica del paese. Celebre l’intercettazione, penalmente irrilevante, fra il generale della guardia di finanza Michele Adinolfi e Matteo Renzi. «Enrico Letta è un incapace», disse Renzi ad Adinolfi che lo aveva chiamato per gli auguri di compleanno. La pubblicazione di questa intercettazione sul Fatto Quotidiano, nel 2015, per la cronaca, fece saltare la nomina di Adinolfi a comandante generale delle Fiamme gialle.

Altra fuga di notizie da annali risale al 29 maggio del 2019. Quel giorno Repubblica, Corriere e Messaggero diedero grandissimo spazio all’indagine della procura di Perugia nei confronti di Luca Palamara, ex presidente dell’Anm e grande esperto di incarichi e nomine. “Corruzione al Csm: il mercato delle toghe”, il titolo di Repubblica. “Una inchiesta per corruzione agita la corsa per la Procura di Roma”, quello del Corriere. “L’accusa al pm Palamara complica i giochi per la Procura di Roma”, quello infine del Messaggero.

Tutti gli articoli erano molto dettagliati e quello di Repubblica aveva anche le intercettazioni effettuate in tempo reale con il trojan inserito nel cellulare di Palamara. Nonostante le indagini in quel periodo fossero ancora in corso, e quindi tutti gli atti coperti dal segreto istruttorio, i quotidiani pubblicarono per giorni ampi stralci di quelle intercettazioni, molte delle quali riguardavano la sfera privata di magistrati che si erano incontrati con Palamara e che non erano minimamente coinvolti nell’indagine. Quella fuga di notizie provocò un terremoto, stroncando le carriere di tanti giudici. Prima fra tutti la nomina di Marcello Viola a procuratore di Roma.

Qualche settimana più tardi, alla fine di luglio, il pm di Perugia Mario Formisano, titolare del fascicolo, a chi gli chiedeva spiegazioni su queste interminabili fughe di notizie rispose che avevano «rovinato l’inchiesta». La procura di Firenze, competente sulle condotte dei magistrati umbri, decise però poco dopo di archiviare l’inchiesta, pur a fronte della “reprimenda” del giudice. «Sussiste senza dubbio» il reato di rivelazione del segreto, gli autori sono stati dei «pubblici ufficiali» e la procura deve compiere gli «opportuni approfondimenti investigativi» per individuare «i responsabili della indebita propalazione», scrisse al pm la gip Sara Farini. Poi più nulla. Chissà allora cosa succederà a Genova questa volta.