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Fratelli d'Italia ripesca l'ergastolo ostativo
L’assist arriva dalle intercettazioni, dai colloqui captati dalla Procura di Palermo e che hanno portato all’arresto, nei giorni scorsi, di oltre 180 presunti mafiosi. «Questa Meloni parla come una disonorata», «ora che hanno arrestato Messina Denaro lo potrebbero levare, il 41 bis», «ma come si dà il voto a una come questa?». Difficile che una premier, e un partito di maggioranza, possano chiedere di più, alla cronaca giudiziaria: criminali, o presunti tali, che additano la leader del governo come una nemica, come una “dura” che non ha allentato la presa sulle cosche. Non a caso Meloni, dopo aver letto i brani captati dalla polizia e divulgati dall’agenzia Adn- kronos, lunedì ha diffuso un post sui social in cui ha citato le contumelie rivoltele dagli sconsolati “picciotti” e le ha rilanciate come prova della propria fermezza.
Dopo la presidente del Consiglio, è arrivata una raffica di dichiarazioni consonanti, tutte rigorosamente di ministri (come Tommaso Foti) e parlamentari (come Lucio Malan, ma se ne contano una dozzina) di FdI. Fino all’indiscrezione circolata il giorno dopo, secondo cui la commissione Antimafia, presieduta da una fedelissima di Meloni, Chiara Colosimo, sarebbe già al lavoro per inasprire le norme sulla detenzione, e in particolare “sull’applicazione del 41 bis e dell’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario”.
Il tutto arricchito dall’iperbole che suona come uno spiazzante fuor d’opera: secondo le stesse indiscrezioni non si esclude il «ripristino del divieto di concedere benefici penitenziari ai condannati in regime di 4 bis (cioè per reati ostativi come mafia e terrorismo, ndr) salvo che nei casi di collaborazione con la giustizia». Vorrebbe dire mettere mano alle norme sul “fine pena mai”, e cioè sull’ergastolo ostativo, da poco modificate, e vincolare di nuovo un eventuale, pur remoto ritorno alla libertà ( con la liberazione condizionale, e dopo 30 anni) al “pentimento”. E qui forse si esagera. Non si tratta di intransigenza più o meno assoluta, ma di legittimità costituzionale.
L’idea di tornare al vecchio ergastolo ostativo vorrebbe dire sconfessare non solo e non tanto uno dei primissimi decreti legge varati dal governo Meloni, il numero 162 del 31 ottobre 2022, ma contraddire l’ordinanza della Corte costituzionale che aveva “imposto” quel decreto, la numero 97 del 2021.
Con quella pronuncia, la Consulta aveva bollato come incostituzionale la subordinazione “assoluta” dei benefici penitenziari alla scelta, del condannato all’ergastolo, di collaborare con la giustizia. Non si trattò di una sentenza, ma di un “ordine” rivolto dalla Corte al legislatore affinché eliminasse la presunzione assoluta secondo cui il mafioso ergastolano è “rieducato”, e merita dunque la liberazione, solo se diventa un “pentito”, giacché il “silenzio” può essere legato anche a motivazioni intime, personali, come la volontà di proteggere i familiari.
Meloni, col ricordato decreto 162 del 2022, non fece altro che obbedire a quell’ordine, seppure con un testo durissimo, che lascia, agli “ergastolani ostativi”, una speranza di uscita dal carcere così sottile da essere quasi irrealizzabile.
Adesso, l’intenzione di chiudere anche quel ridottissimo spiraglio. Tutto politicamente comprensibile? Fino a un certo punto. La frenesia iconoclasta sui benefici penitenziari sembra spiegarsi non solo con la voglia di raccogliere l’assist arrivato dalle intercettazioni palermitane.
C’è anche la conferma di un certo indirizzo che Palazzo Chigi – non solo Meloni ma anche il sottosegretario alla Presidenza Alfredo Mantovano – suggerisce da qualche settimana al resto del governo, e anche al guardasigilli Carlo Nordio: sulla giustizia non dobbiamo strafare.
Nel senso che c’è, sì, la separazione delle carriere e su quella si tira dritto, ma «non dobbiamo infierire sulla magistratura». È proprio questa linea “moderata” che ha congelato, per esempio, la scorsa settimana, la legge che dovrebbe istituire una giornata per le vittime degli errori giudiziari. «Ora come ora, rischia di suonare come una provocazione», è stato fatto notare ai deputati di maggioranza della commissione Giustizia. Time out, esame degli emendamenti rinviato.
E la prudenza, la “misura dei colpi”, si esprime non solo con qualche passo indietro, come nel caso della legge che doveva essere intitolata a Enzo Tortora e che era sta incredibilmente contestata dall’Anm, ma anche con qualche nuovo giro di vite. Quale sarebbe appunto la modifica dell’ergastolo ostativo, o meglio il ripristino del regime preclusivo in vigore fino al decreto dell’ottobre 2022. E qui non c’entra nulla la volontà di non irritare troppo l’Anm, ma entra piuttosto in gioco il timore che parte dell’elettorato possa scorgere, nella separazione delle carriere, un cedimento alla logica dell’impunità, un “favore ai corrotti” e un “indebolimento dei pm”: insomma, si teme che passi la narrazione anti- riforma delle correnti Anm e del centrosinistra. A fronte di un simile rischio, meglio rassicurare gli elettori, soprattutto quelli più intransigenti, che gli artigli contro i malfattori restano affilatissimi, e lo sono ancora di più contro mafia.
C’è dunque il rischio che di qui in avanti, fino al referendum che, nel 2026, dovrà confermare la separazione delle carriere, il centrodestra accentui la vena giustizialista, la tendenza restrittiva nella politica giudiziaria. Vocazione che ha partorito i decreti “Cutro”, “Caivano” e “Sicurezza”, tutti provvedimenti agli antipodi del garantismo affermato da Nordio con il ddl penale (quello che tra l’altro ha abolito l’abuso d’ufficio) e, appunto, la legge costituzionale sulle carriere dei magistrati. Certo, un ritorno all’ergastolo ostativo “pre- 2022” vorrebbe dire sconfessare la Consulta.
Al punto da mettere in seria difficoltà Sergio Mattarella. Il quale, al momento di promulgare un’eventuale nuova legge “restrittiva” sull’ergastolo ostativo, dovrebbe valutare se il conflitto con una così recente pronuncia della Corte (la citata ordinanza 97 del 2021) non implichi una manifesta incostituzionalità. Il rischio ci sarebbe. Ma uno spot da destra dura e pura sull’antimafia val bene anche quel rischio.