PHOTO
Convinto che, se già all’epoca in cui era un aspirante civilista, fossero state in vigore le verifiche sull’equilibrio delle toghe, quella scena non l’avrebbe vissuta. Magari non c’entra il fatto che anche alla Camera, come al Senato, di avvocati ce ne sono abbastanza, ma comunque ieri la commissione Giustizia di Montecitorio ha approvato analogamente a quanto era avvenuto a Palazzo Madama con il testo dell’azzurro Pierantonio Zanettin - l’invito all’Esecutivo a “valutare la possibilità” di prevedere i controlli psicologici in fase d’ingresso, cioè per i futuri concorsi, in magistratura.
Il suggerimento è stato inserito nel parere sulla parte generale della riforma, proposto dal meloniano Ciro Maschio, che della commissione Giustizia della Camera è il presidente. Adesso la palla passa a Carlo Nordio. La riforma dell’ordinamento giudiziario (e del Csm) ha quasi completato il suo laborioso percorso di “valutazione parlamentare”, cioè l’esame e la conseguente espressione dei pareri, necessari ma non vincolanti, delle commissioni di Montecitorio e Palazzo Madama. Sarà il guardasigilli, in Consiglio dei ministri, a proporre se accogliere o meno le indicazioni messe nero su bianco e approvate dal Parlamento. Ma tutto lascia credere che, anche per l’invito a prevedere i controlli sull’equilibrio dei magistrati, le previsioni di deputati e senatori, in gran parte sovrapponibili tra loro, saranno accolte per intero, e che dunque, nell’emanazione definitiva dei decreti attuativi della riforma (cioè della legge delega firmata da Marta Cartabia), i test psicoattitudinali ci saranno.
Basta citare le considerazioni raccolte dal direttore del Foglio Claudio Cerasa nella lunga intervista al guardasigilli pubblicata ieri: «Nel mio primo libro sulla giustizia, nel 1997, sostenni addirittura la necessità di un esame psichiatrico, anche perché vi erano stati casi di comportamenti a dir poco eccentrici da parte di alcuni colleghi. Il professor Giuseppe Di Federico, massima autorità in materia, ne ha documentati molti. Il test psicoattitudinale è ormai obbligatorio per chi riveste funzioni importanti. Se lo fanno i poliziotti, perché non deve farlo il pm che dirige la Polizia giudiziaria? L’autocertificazione di virtù e di equilibrio da parte della magistratura è irrazionale e persino offensiva verso le altre categorie di operatori, che si sottopongono al test senza sentirsi umiliati».
Non è una dichiarazione di guerra alla magistratura. Anche perché non viene percepita come tale dalla stessa Anm. Di sicuro è la conferma di quanto anticipato sabato scorso su queste pagine, quando abbiamo segnalato che Nordio non ha alcuna particolare riserva sui test psicoattitudinali, e che la sola clausola ritenuta necessaria, per il ministro, riguarda i limiti temporali delle verifiche, non applicabili a chi è già in sevizio, a chi già oggi riveste funzioni di giudice o pm. Un limite ritenuto indispensabile, a via Arenula, per scongiurare il rischio che il sistema giustizia vada in tilt: a fronte di eventuali inadeguatezze improvvisamente svelate dai controlli, verrebbe compromessa l’autorevolezza delle decisioni fino a quel momento assunte da un determinato giudice.
Non è una dichiarazione di guerra all’Anm anche se si tiene conto di quanto detto sabato scorso dal presidente Giuseppe Santalucia a margine della riunione del cosiddetto parlamentino: le perplessità riguardano il contenuto e le modalità delle verifiche ma non la loro praticabilità in senso assoluto. Soprattutto, la magistratura associata avverte il bisogno di contrastare il messaggio che teme possa essere veicolato dall’introduzione dei test, cioè che l’ordine giudiziario sarebbe popolato da sconsiderati inaffidabili. Un’idea che, per la verità, i parlamentari di maggioranza, al di là di battute e aneddoti, negli ultimi giorni si sono ben guardati dal sostenere.
D’altra parte, la dialettica fra maggioranza e potere giudiziario mantiene una certa ambivalenza. È vero che sempre nell’intervista al Foglio di ieri, Nordio ha ribadito la promessa di portare avanti la separazione delle carriere, attesa fra meno di tre settimane nell’aula di Montecitorio, ma è vero pure che la stessa riforma dell’ordinamento giudiziario in cui sono stati prospettati, dalle due commissioni Giustizia, i test psicoattitudinali, sancirà il clamoroso dietrofront sul taglio dei magistrati fuori ruolo. Ieri, nella commissione Giustizia della Camera, oltre al parere proposto da Maschio, è stato approvato anche quello firmato dalla leghista Simonetta Matone relativo appunto alla parte della legge delega di Cartabia che prevedeva la riduzione delle toghe “distaccate”. «Il passo indietro registrato sul punto», spiega al Dubbio il responsabile Giustizia di Azione Enrico Costa, «è tale da indurci a rivedere la nostra posizione sul guardasigilli, con il quale finora pure c’erano stati punti di convergenza. Intanto abbiamo detto sì al parere Maschio, che aggiusta almeno parzialmente un altro travisamento della riforma, e cioè i limiti al fascicolo di valutazione del magistrato, ma abbiamo votato contro il parere Matone. Innanzitutto perché i fuori ruolo vengono ridotti, nel loro numero massimo, da 200 a 180, e già questo è un sostanziale tradimento della delega. Poi la beffa intervenuta col rinvio al 2026 di questa già risibile riduzione.
Ma la cosa più insopportabile, e al limite del cortocircuito procedurale, è l’eccezione prevista per quei magistrati che, all’entrata in vigore delle nuove norme, risultino già impiegati fuori ruolo presso qualche ministero o in altri organi: nel loro caso non si applicherà il nuovo limite temporale di 7 anni fissato per la durata del distacco, e le toghe beneficiate dalla clausola potranno dunque arrivare a 10 anni, come avveniva con la vecchia disciplina. Una cosa irragionevole che rivela il cortocircuito di una riforma di fatto scritta, fin dall’elaborato della commissione ministeriale Galoppi, proprio dai magistrati fuori ruolo...».
Costa ne fa un problema di «autonomia della magistratura, principio evidentemente incompatibile con questa debordante presenza nei ministeri e negli organi costituzionali», e di «separazione dei poteri che va ancora una volta a farsi benedire». Ma la strada è segnata: i pareri parlamentari, che prevedono appunto da parte di entrambe le Camere l’ulteriore rinvio e ridimensionamento della sforbiciata ai fuori ruolo, sono stati scritti in modo da corrispondere a quanto il Consiglio dei ministri sancirà in sede di emanazione definitiva dei due decreti legislativi. È ormai consolidata, questa “elaborazione condivisa” fra commissioni parlamentari e governo, quando si tratta di provvedimenti che attuano una riforma.
Oggi l’iter sarà completato con il via libera al documento proposto da Sergio Rastrelli, di FdI, proprio sui magistrati in distacco: si sarebbe potuto chiudere ieri, ma la presidente della commissione Giustizia del Senato Giulia Bongiorno ha concesso altro tempo per l’esame di eventuali pareri di minoranza. E poi l’organismo di Palazzo Madama è stato impegnato ad approvare, in sede deliberante, la legge istitutiva della commissione d’indagine sul cosiddetto caso Forteto, la comunità in cui, secondo gli accertamenti processuali, si sarebbero consumati abusi sui minori. Un percorso già seguito nella precedente legislatura, per il quale si è particolarmente impegnata la senatrice di FdI Donatella Campione.