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I test psicoattitudinali per accedere in magistratura continuano ad essere in queste settimane oggetto di accesso dibattito fra le toghe. Il dlgs numero 44 del 28 marzo scorso ha stabilito che terminata la valutazione degli elaborati i candidati “sostengono i test psicoattitudinali individuati dal Csm nel rispetto delle linee guida e degli standard internazionali di psicometria”. L’insufficienza nel colloquio psico attitudinale è motivata con la sola formula “non idoneo”. La nuova previsione, la cui entrata in vigore sarà a partire dal 2026, si propone lo scopo di verificare non le abilità cognitive dell’aspirante ma la precondizione dell’equilibrio.
Tralasciano l’evidente sperequazione rispetto le magistrature speciali dove non sono stati previsti, l’asso nella manica di coloro che avversano i test rimane sempre, anche dopo quarant’anni, il richiamo alla Loggia P2 di Licio Gelli. Essendo contenuti, al pari della separazione delle carriere, nelle 13 pagine del Piano di rinascita democratica, chiunque li proponga è automaticamente “accusato” di voler asservire la magistratura al potere esecutivo. Un articolo apparso questa settimana su Questione Giustizia, a firma del giudice di Siena Simone Spina, a parte l’immancabile richiamo massonico, punta invece a smontare in radice l’utilità dei test, rispondendo indirettamente a coloro che, ad iniziare dal ministro Carlo Nordio, affermano che vengono fatti senza problemi dal personale delle Forze armate e dei Corpi di polizia.
«Trattandosi di impieghi che implicano l’esercizio di compiti operativi connotati da un’intrinseca pericolosità per la salute e sicurezza individuale e collettiva (come o l’uso di armi ed esplosivi)», scrive Spina, «l’idoneità psico-attitudinale contribuisce a garantire la salute e sicurezza così del lavoratore stesso come della collettività intera. Nulla di tutto ciò riguarda le qualità professionali che, in conformità ai principi costituzionali in materia di giurisdizione, devono informare l’ufficio di magistrato e che mai potranno essere accertate, vagliate o verificate tramite valutazioni psico-attitudinali», sottolinea il magistrato, elencandole: «Rigore intellettuale e stile morale nella pratica giudiziaria, competenza tecnica e capacità di giudizio, equilibrio e senso di umanità, disposizione all’ascolto di tutte le opposte ragioni, impegno a non lasciarsi condizionare da finalità esterne ed estranee alla ricerca del vero, onestà intellettuale che deve precludere il preventivo interesse al raggiungimento di una determinata verità, indipendenza di giudizio, disinteresse personale per i concreti interessi presenti in una causa e assenza di preconcetti nell’esame e nella valutazione critica delle prove, nonché degli argomenti pertinenti alla qualificazione giuridica dei fatti ritenuti provati».
Queste ultime qualità non sono e non potranno essere oggetto di «accertamenti di tipo psico-attitudinale», corrispondendo ad «un insieme di canoni deontologici e di etica professionale elaborati grazie al dibattito associativo interno alla magistratura e, tutti, nel complesso necessari affinché possa garantirsi quella specifica “sicurezza” fornita dallo Stato di diritto ed espressa dalla fiducia dei cittadini nella giustizia e nella magistratura». Una tesi quaesta, comunque, quanto mai corporativa e facilmente attaccabile dalla lettura delle cronache.
Tanto per fare un esempio, il pm che nasconde le prove che scagionano il suo imputato e chiede di mandarlo in prigione pur sapendolo innocente, nonostante ciò sia acclarato da una sentenza peraltro passata in giudicato, continua tranquillamente a fare il pm come se nulla fosse. Sul punto la togata Bernadette Nicotra, ex presidente della Commissione che al Csm si occupa della valutazioni di professionalità, ricorda però che già esistono gli strumenti per accertare l’equilibrio del magistrato. Il primo step è rappresentato dal tirocinio, inizialmente di 18 mesi ora ridotto a 12, durante il quale si evidenzia la sussistenza delle doti di impegno, correttezza, equilibrio, indipendenza e imparzialità.
E poi le valutazioni di professionalità con cadenza quadriennale e per 7 volte, a partire dall’ingresso in magistratura. «L’attuale sistema - ricorda Nicotra - è da sempre improntato ad una verifica costante e continua delle doti di equilibrio e correttezza del magistrato. I controlli e le verifiche circa la sussistenza dell’idoneità psico-attitudinale del magistrato già esistono e non si avverte la necessità di introdurne di nuovi come una prova di tipo psicologico, la cui affidabilità risulta dubbia». Per la togata, «come in tutti gli ordini professionali anche nella magistratura ci sono figure inidonee al ruolo di grande responsabilità che ricoprono ma, a fronte di certe situazioni patologiche o di abuso nell’esercizio delle funzioni il rimedio non è il ricorso a esperti esaminatori». La vera riforma, conclude Nicotra, deve essere «culturale» e tendere alla «costruzione di un modello di magistrato ancorato alla Costituzione che si distingue solo per funzioni che radica la sua autonomia e indipendenza da ogni altro potere soltanto nella soggezione alla legge».
È nella legge che il magistrato trova la sua legittimazione il quale non solo deve essere indipendente, imparziale e equilibrato ma anche «apparire tale». In altre parole, il «magistrato deve sottrarsi alle spinte ideologiche e tutelare il valore supremo dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge». Dei test, si può essere certi, si parlerà ancora a lungo.