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Non chiamatelo “reato universale”. Quando ormai è quasi fatta, la maggioranza cerca di togliere dalla nuova legge sulla maternità surrogata il bollino col quale è nata. E si capisce il perché: per smarcare la norma approvata oggi in via definitiva al Senato da tutti i dubbi sulla sua applicabilità o costituzionalità, bisogna partire dalle parole.
Il senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin lo sa. E così, dopo le prime ore di scintille nell’aula di Palazzo Madama, prende parola e si rivolge ai banchi dell’opposizione per difendere il ddl in punta di diritto: reato universale lo dite voi, ragiona l’avvocato azzurro, noi diciamo soltanto di voler punire il cittadino italiano che commetta il crimine all’estero. Insomma, non si vuole mettere in galera tutti e ovunque: solo i nostri. Tanto per ribadire che il «commercio dei neonati» con “l’utero in affitto” non può essere tollerato: né qui, né altrove.
Anche in questo caso le parole non sono casuali. E qualcuno nella maggioranza si indigna addirittura per chi ricorre alla sigla Gpa. Che non sta per “Gran premio d’Argentina”, come ironizza la senatrice di Fratelli d’Italia Lavinia Mennuni. Ma per “gestazione per altri”. Comunque la si chiami però, la surrogata resta una pratica già illegale in Italia ma lecita in molti paesi. E questo pone, sottolineano le opposizioni, il problema della doppia incriminazione: perché possa essere punito il fatto commesso all’estero è essenziale che sia previsto come reato nello Stato in cui è consumato il fatto.
Per Zanettin la tesi giuridica però non regge, perché di reato universale non si tratta. E in effetti, neanche la relatrice di Fratelli d’Italia Susanna Donatella Campione ne parla mai nel suo intervento iniziale. Tutto torna. Se non fosse per l’arringa del senatore leghista Massimiliano Romeo, che conquista la prima standing ovation parlando di «ricchi committenti che sfruttano donne povere» per soddisfare i propri desideri genitoriali.
L’esponente del Carroccio si chiede sgomento dove siano “le femministe”, le quali dovrebbero indignarsi per la surrogata, e ammette che sì, l’obiettivo è il reato universale: l’Italia spera che altri Stati seguano la stessa via. Dunque, si tratterebbe di un segnale. Uno mero strumento per disincentivare il cosiddetto “turismo procreativo” che Fratelli d’Italia insegue dalla scorsa legislatura, quando la premier Giorgia Meloni ha presentato per la prima volta il disegno di legge rilanciato alla Camera dalla deputata di Fratelli d’Italia Carolina Varchi. È il suo ddl, il n. 824, ad arrivare ora al traguardo dopo il primo sì alla Camera nel 2023.
Il voto è scontato: 84 sì e 58 no, nessun astenuto, il provvedimento è legge. Bocciati tutti gli emendamenti, una ventina più gli ordini del giorno, presentati dalle opposizioni. Il testo resta di un solo articolo, poche righe, e interviene sull’articolo 12 della legge 40 del 2004, che già punisce con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600mila euro a un milione di euro “chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità”. Ora si aggiunge, al comma 6, che “se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi all’estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana”.
Ciò vuol dire, nei fatti, che le coppie che si presenteranno al Comune per registrare l’atto di nascita formato all’estero rischiano di autoincriminarsi. Soprattutto le coppie omogenitoriali, sottolinea il senatore di Italia Viva Ivan Scalfarotto, perché saranno di certo le prime “indiziate”. Dunque, che ne sarà dei bambini già nati? Il punto è centrale nel ping pong infinito che va avanti per l’intera giornata.
Le posizioni in aula sono chiare. Le opposizioni bollano la norma come una «legge manifesto», frutto di «furore ideologico», una prova esemplare di «panpenalismo universale» a colpi di propaganda che imporrà uno stigma sociale sui bambini già nati da Gpa. E ancora: «Una norma viziata dall’irragionevolezza e totalmente disallineata rispetto alle pronunce della Corte Costituzionale, della Corte Europea dei diritti dell’uomo e della Corte di Cassazione sezioni unite civili», argomenta la vicepresidente dem del Senato Anna Rossomando. Che tira fuori «lo scheletro nell’armadio»: la consapevolezza che «bisogna tutelare lo stato giuridico dei bambini».
È qui che il clima si infiamma. Il centrodestra respinge le accuse: per il riconoscimento dei bambini esiste già l’istituto dell’adozione in casi particolari. Quello indicato dalla Cassazione, dove arrivano tutte le battaglie legali portate avanti in questi anni. Tutelare i minori e la dignità della donna è una «scelta di civilità», per citare la ministra della Famiglia Eugenia Roccella. La prima ad esultare nel governo appena il ddl è legge.
«Le opposizioni accusano Fratelli d’Italia e il centrodestra di ideologia. E siamo d’accordo, se per ideologia si intende difendere la dignità delle persone, delle madri, dei bambini, che hanno diritto a sapere chi è il loro padre, chi è la loro madre ed hanno diritto a non essere merce», tuona il presidente dei senatori di FdI Lucio Malan. Il quale diventa d’un tratto il vero eroe dell’aula, tra gli applausi e gli abbracci di tutti i colleghi della maggioranza. Un momento di grande unità. Poi tutti alla buvette per un caffè, mentre in aula si alternano le voci dell’opposizione in un’aula deserta.
Serve un piccolo sprint. Come quello della senatrice M5S Elisa Pirro, la quale rivendica che l’utero è suo al pari di un rene e perciò ci fa quello che vuole. Dall’altra parte i senatori non sono d’accordo, si sfiora la rissa. E non capiamo se l’obiezione sia sulla proprietà dell’utero o su altro. La presidente di turno Mariolina Castellone minaccia di sospendere l’Aula. Ma poi torna il sereno.
Una volta spazzate via tutte le pregiudiziali presentate dalle opposizioni, riparte il dibattito. Si torna indietro negli anni, quando sono cominciate le battaglie sul corpo della donna. Qualcuno prova a dire che anche loro sono esseri senzienti in grado di scegliere se avere una gravidanza per altri. Qualcuno replica che le donne «non sono un forno». E così, lentamente, dal diritto di scivola al bar. Ma siamo ancora nell’aula: è la democrazia, ci vuole pazienza.