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Il 13 febbraio il procuratore della Repubblica Giuseppe Amato ha chiesto l’archiviazione del procedimento per il reato di aiuto al suicidio a carico di Felicetta Maltese, Virginia Fiume e Marco Cappato. Le prime due hanno accompagnato Paola in Svizzera, Cappato è legale rappresentante di Soccorso Civile e si erano denunciati quattro giorni prima a Bologna.
La premessa è la sentenza della Corte costituzionale 242 del 2019 che “ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli articoli 2, 13 e 32, comma 2, della Costituzione, l’articolo 580” del codice penale nella parte in cui non esclude la punibilità di chi aiuta qualcuno nella esecuzione del proposito di suicidio quando quella decisione è stata presa autonomamente e liberamente, quando la persona “è tenuta in vita da un trattamenti di sostegno vitali e affetta da una patologia irreversibile”, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche e capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Insomma, ci sono delle condizioni nelle quali l’agevolazione non si configura più come reato.
Le disobbedienze – da Elena Altamira, lo scorso agosto, a Paola di Bologna, di pochi giorni fa e rispetto alla quale Amato chiede l’archiviazione – sono causate da quel particolare del trattamento di sostegno vitale. O meglio dalla sua interpretazione “ristretta”.
Paola aveva un Parkinson atipico in una forma molto avanzata ma non aveva alcun supporto vitale (inteso come un respiratore o un altro macchinario). Però quella interpretazione ristretta andrebbe ammorbidita, ed è quello che fa il procuratore Amato richiamando la sentenza della Corte d’assise di Massa nell’estate 2020 nel caso di Davide Trentini. Affetto da sclerosi multipla, Trentini aveva dolori insopportabili che conteneva parzialmente con dei farmaci antidolorifici ma nemmeno lui dipendeva da sostegni meccanici.
In quella sentenza i confini semantici di “sostegno vitale” vengono allargati fino a comprendere i trattamenti farmacologici la cui interruzione provocherebbe la morte anche in tempi non rapidi. Quella sentenza era stata poi confermata in Corte d’assise a Genova e in quella sentenza si ricorda anche che l’articolo 580 del codice penale risale a un periodo storico in cui il concetto di vita era molto diverso da quello attuale, precedente alla Costituzione e quindi all’affermazione della nostra libertà come bene più forte della sopravvivenza.
Ma poi ci sono cinque parole importantissime: “senza ingiustificate disparità di trattamento”. Già, perché interpretare restrittivamente quel requisito di sostegno vitale causerebbe proprio questo, una ingiustificata disparità tra persone, una violazione del principio di uguaglianza, tanto più odioso perché a danno di persone con malattie devastanti come le neoplasie o le patologie degenerative. E sarebbe insensato, perché trasformerebbe un particolare di nessuna importanza in un requisito necessario per esercitare il diritto a “una morte autodeterminata”.
Ecco perché è doverosa una interpretazione estensiva della 242, una sua “rilettura [in modo costituzionalmente orientato]”, la sua applicazione a casi “diversi, ma assimilabili, rispetto a quello oggetto del giudizio di costituzionalità”.
Ecco perché Amato chiede l’archiviazione, imponendosi una “soluzione liberatoria”. Perché altrimenti si dovrebbe porre la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale per contrasto con gli articoli 2 e 3 della Costituzione “laddove si ritenesse ancora di rilievo penale la condotta di aiuto al suicidio intendendo la condizione dell’essere ‘tenuto in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale’ come impeditiva dal ricomprendervi anche la somministrazione di farmaci non immediatamente ‘salvavita’”.
La soluzione liberatoria è preferibile anche come corretta applicazione della riforma Cartabia: la prognosi sfavorevole rispetto alla condanna suggerisce di archiviare e il quadro giurisprudenziale di merito fonda un ragionevole “diritto vivente”.
Come ha sottolineato nella conferenza stampa del 14 pomeriggio Filomena Gallo, segretaria dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica e coordinatrice del collegio legale di studio e difesa sulle disobbedienze civili, se il giudice per le indagini preliminari deciderà di archiviare, sarà una decisione importante. Poi certamente ogni caso di disobbedienza è a sé e così sarà valutato, ma ci sarebbe un altro precedente che indica la giusta direzione, cioè l’eliminazione di una discriminazione particolarmente odiosa. In caso di non archiviazione e quindi di un processo, l’obiettivo è quello di arrivare a una nuova questione di costituzionalità sul requisito del sostegno vitale che è insensato e ingiusto.