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«Abbiamo sentito come un nostro dovere aiutare Massimiliano a interrompere una condizione che per lui era diventata una tortura insopportabile. Ci auguriamo che lo Stato italiano riconosca l’aiuto al suicidio come un diritto per lui e per le persone nelle sue condizioni». È l’auspicio con cui Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, ha lasciato il Tribunale di Firenze, dove oggi si è tenuta una nuova udienza davanti alla gip Agnese Di Girolamo per il caso di Massimiliano.
Il 44enne toscano, affetto da sclerosi multipla, è morto l’8 dicembre 2022 ricorrendo al suicidio assistito in una clinica in Svizzera. Con l’aiuto di Cappato e altre due esponenti dell’Associazione, la giornalista Chiara Lalli e Felicetta Maltese, che si sono autodenunciati al loro rientro in Italia. La giudice fiorentina dovrà decidere sulle loro posizioni, disponendo nuove indagini, l’imputazione coatta o l’archiviazione del procedimento. Come richiesto dalla procura di Firenze nel 2023 e ancora una volta dall’avvocata Filomena Gallo, segretaria della Coscioni, nelle memorie difensive presentate oggi.
Per il “verdetto” bisognerà attendere la nuova udienza fissata per il 12 marzo. E si tratterà di una decisione importante, la prima dopo la nuova sentenza della Consulta sul fine vita. È la 134/24 dello scorso luglio, con la quale la Corte si è espressa sui “trattamenti di sostegno vitale”, uno dei quattro requisiti per accedere al suicidio assistito sanciti dagli stessi giudici costituzionali nel 2019, con la sentenza 242 sul caso Cappato/Dj Fabo.
A richiedere l’intervento della Corte è stata la gip di Firenze, la quale ha chiesto il vaglio di costituzionalità dell’articolo 580 del codice penale (istigazione o aiuto al suicidio), così come modificato dalla sentenza 242, nella parte in cui subordina la non punibilità dei soggetti coinvolti al requisito del sostegno vitale.
ll nodo riguarda la condizione di alcuni pazienti che pur non dipendendo da un “macchinario”, come quello per la ventilazione meccanica, necessitano di un’assistenza costante per sopravvivere. Come molti malati oncologici e lo stesso Massimiliano, che rispondeva a tre requisiti su quattro. La Consulta ha dichiarato «non fondate» le questioni di legittimità. Ma ha deciso di estendere l’interpretazione del “sostegno vitale”, includendo tra i trattamenti alcune pratiche svolte dai caregiver o dai familiari che assistono la persona malata.