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Operazioni di sgombero degli occupanti le palazzine del vecchio villaggio olimpico di Torino 2006
Corto circuito. Nel giro di poche ore il governo passa dal decreto varato lunedì – con tempi e modi al limite del concitato – per legittimare i trattenimenti dei migranti in Albania, a un missile terra-aria scagliato da Strasburgo su politica e forze dell’ordine: il Rapporto presentato dal Consiglio d’Europa sulla diffusione del razzismo e del linguaggio d’odio in Italia riferisce di pratiche discriminatorie da parte delle forze dell’ordine e di parole xenofobe diffuse da rappresentanti delle istituzioni e in particolare da politici.
Nessun nome, ma il contenuto del documento è pesantissimo. In particolare quando scaglia esplicite accuse nei confronti delle forze di polizia che ricorrerebbero a pratiche di “profilazione razziale durante le attività di controllo, sorveglianza e indagine, soprattutto nei confronti della comunità rom e delle persone di origine africana”. Un macigno. Una lapidazione politica e mediatica.
Così grave che a esprimere «stupore» è innanzitutto il Capo dello Stato Sergio Mattarella. Il Quirinale riferisce che il presidente della Repubblica «ha telefonato al Capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, esprimendogli lo stupore per le affermazioni contenute nel rapporto della Commissione contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa e ribadendo stima e vicinanza alle forze di Polizia».
La premier Giorgia Meloni replica così: «Le nostre forze dell’ordine sono composte da uomini e donne che, ogni giorno, lavorano con dedizione e abnegazione per garantire la sicurezza di tutti i cittadini, senza distinzioni. Meritano rispetto, non simili ingiurie». Ma c’è, chi ci va giù con toni assai più pesanti, a cominciare da Matteo Salvini: «Donne e uomini in divisa attaccati vergognosamente dalla Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza, un ente inutile pagato anche con le tasse dei cittadini italiani. Come Lega proporremo di risparmiare questi soldi per destinarli alla sanità anziché infangare le nostre forze dell’ordine». Fino alla battuta ricorrente in casi simili: «Se a questi signori piacciono tanto rom e clandestini, se li portino tutti a casa loro a Strasburgo». Un autentico putiferio.
A scatenarlo, per essere precisi, è un organismo, la Commissione del Consiglio d’Europa contro il razzismo e l’intolleranza appunto, nota con l’acronimo “Ecri”. Il Rapporto sollecita l’Italia a commissionare e presentare entro due anni uno “studio indipendente” sulle pratiche di profilazione sostanzialmente razziste che la polizia italiana è accusata di adottare. Com’è noto, il Consiglio d’Europa è entità sovranazionale assolutamente non assimilabile all’Ue: ne fanno parte numerosi Stati che non rientrano fra i Ventisette aderenti all’Unione di Bruxelles.
Afferisce al Consiglio d’Europa la Corte europea dei Diritti umani, i cui pronunciamenti l’Italia è impegnata a rispettare. Dell’Ecri fa parte, in rappresentanza dell’Italia, un giurista dell’autorevolezza di Alberto Maria Gambino, che è impegnato anche nelle istituzioni forensi e che tra l’altro ha curato, per il Cnf italiano, il “Decalogo per il Diritto all’acqua”, proposto all’Expo di Dubai e condiviso a livello planetario.
Eppure i meccanismi dell’Ecri sanciscono che un documento sulla diffusione del razzismo in un determinato Paese debba essere redatto senza che il commissario proveniente da quel Paese, ed è il caso dell’italiano Gambino, sia almeno consultato. Interpellato dal Dubbio, il giurista si limita a osservare come «nel Rapporto, al paragrafo 46, si plauda all’attuale governo e alla presidente del Consiglio in carica per la condanna chiara ai discorsi d’odio antisemita e alla “pronta reazione” del ministro della Difesa al “libro pubblicato da un generale italiano”». Ovvio che si tratti di Roberto Vannacci.
Non è finita qui. C’è un passaggio del Rapporto che, pur ancorato a polemiche fra politica e magistratura italiane dello scorso anno, e in particolare al caso della giudice Iolanda Apostolico, sembrano fatte apposta per entrare a piedi uniti nello psicodramma innescato venerdì scorso dalla decisione con cui il Tribunale di Roma ha annullato il “trattenimento” dei 12 migranti in Albania: l’Ecri infatti denuncia anche “critiche indebite che mirano a minare l’autorità dei singoli giudici che decidono sui casi di immigrazione” tra gli esempi di negativi di “discorso pubblico e politico” colpevole di promuovere “una cultura dell’esclusione dei migranti piuttosto che la loro inclusione”. La Commissione di Strasburgo aggiunge che critiche come quelle rivolte ad Apostolico (non citata) “minano l’indipendenza della magistratura che tratta di questi casi”, indipendenza che invece deve essere “rispettata, protetta e promossa”. Un colpo da ko tecnico.
I partiti d’opposizione – a battere tutti sul tempo è Avs – sollecitano il ministro che del presunto razzismo in divisa sarebbe chiamato a rispondere, Matteo Piantedosi, a riferire in Parlamento. Ma la posizione assunta da Mattarella fa argine all’onda di discredito. D’altra parte, il documento ha un valore relativo: a redigerlo sono stati due soli componenti della commissione, i membri bulgaro e rumeno, i quali non hanno condotto un vero studio: si sono limitati a raccogliere, in occasione di una loro visita in Italia, alcune testimonianze fra persone destinatarie di fermi di polizia. Non è un atto d’accusa formale, casomai il risultato di una sorta d’indagine conoscitiva, anche un po’ artigianale nei metodi. Eppure per Meloni si tratta di una grana non da poco.
È la conferma, indiretta ma non trascurabile, che la materia dei migranti resta delicatissima. E che su un terreno del genere può trovarsi a proprio agio chi, come Salvini, ha decisamente meno da perdere di una premier di destra che ha scelto la strada dell’europeismo.