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Rosa e Olindo sono stati condannati in via definitiva all'ergastolo per la strage di Erba
«Sono passati sedici anni dalla strage di Erba, ci sto riflettendo parecchio in questi giorni. Forse è arrivato il momento di fare un po' di chiarezza». A parlare all'Adnkronos è Olindo Romano, condannato all'ergastolo in concorso con la moglie Rosa Bazzi con l'accusa di aver ucciso Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini.
Olindo Romano, recluso nel carcere di Opera, a Milano, racconta: «In cella la vita è sempre quella, nulla di nuovo. Per passare un po' il tempo continuo a lavorare in cucina, per il resto sto senza far niente tutto il giorno, spesso in compagnia di qualche altro detenuto costretto come me in questo carcere». Sostenuto dal suo avvocato Fabio Schembri, che (insieme ai colleghi Nico D'Ascola, Luisa Bordeaux e Patrizia Morello, ndr) sta lavorando a una richiesta di revisione del processo alla luce di «nuove prove e un testimone chiave», Olindo Romano conferma: «E’ sempre stato convinto della mia innocenza e di quella di Rosa e non è più l'unico, grazie a Dio, a credere che io e mia moglie non abbiamo commesso la strage di Erba. Non so perché non sia stata approfondita la pista dello spaccio di droga, continuo a pensare che sia stato più semplice incastrare due persone come noi non sveglissime e inconsapevoli di quello che ci stava piombando addosso».
Per l'ex netturbino 60enne di Albaredo per San Marco le accuse contro di lui e contro la moglie non hanno fondamento. «Mi capita di ripensare a quei giorni e a come ci hanno abbindolato e preso in giro - spiega all'Adnkronos - tanto che solo quando ci hanno portato al Bassone (la casa circondariale di Como, ndr), ci siamo accorti che i sospettati eravamo noi. Da allora tutto è assurdo e continua a essere irreale. Io le liti dalla casa di Raffaella e Azouz le ricordo bene, litigavano spesso, ma non per questo abbiamo pensato di fare una strage. E, in effetti, non c'entriamo nulla. Chi è stato? Non lo so, diversamente lo avrei già detto ai miei avvocati, ma di certo una strage simile può farla solo chi è abituato a fare quelle cose, non penso sia facile improvvisare un fatto del genere così efferato».
Dimagrito, il portamento placido e diverso dalle foto dell'epoca che lo immortalavano spesso sornione, quasi distante, oggi Olindo Romano ha i capelli bianchi e i ricordi intatti. «"Frigerio (Mario, marito di Valeria Cherubini e unico superstite, ndr) è stato utilizzato come noi. Ripenso a quell'uomo, quando lo incontravo: era una brava persona, per questo credo che abbiano manipolato i suoi ricordi per farlo testimoniare contro di noi. Io lo considero una vittima come noi».
E oggi, sedici anni dopo le fiamme in quell'appartamento di via Diaz, dopo i corpi esanimi in un lago di sangue, le tracce rilevate e contestate, le prove, le testimonianze, le confessioni fatte e ritrattate, Olindo passa le sue giornate in una cella lontano dall'inseparabile moglie. «E' dura, ma in qualche modo la vita in carcere va avanti, vedo Rosa appena è possibile. Due giorni prima di Natale sono andato a colloquio da lei a Bollate e sono contento - racconta sempre all'Adnkronos - Mi tiene a galla il pensiero che prima o poi, spero prima che poi, si possa accertare che non abbiamo commesso noi la strage di Erba». (Adnkronos)