Parola fine dalla Cassazione sulla vicenda giudiziaria legata alla strage di Erba. Oggi la quinta sezione penale ha rigettato il ricorso presentato dai difensori di Olindo Romano e Rosa Bazzi contro la decisione della Corte d’Appello di Brescia che aveva già respinto l'istanza di revisione della sentenza del carcere a vita.

Dunque non c’è per adesso più nessuna speranza di libertà per i due coniugi condannati in via definitiva all’ergastolo nel 2011. Resta la possibilità di un ricorso dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo che potrà esprimersi sull’equità del processo a loro carico. «Insisto per la inammissibilità del ricorso della difesa», aveva detto il sostituto procuratore generale della Cassazione, Giulio Monferini, al termine di un intervento di poco più di 30 minuti, davanti ai supremi giudici.

Secondo il rappresentante della pubblica accusa quelle presentate dalla difesa non sarebbero state «prove nuove» ed inoltre non smontavano in alcun modo «i pilastri delle motivazioni che hanno portato alla condanna di Rosa e Olindo, e cioè le dichiarazioni del sopravvissuto, le confessioni e le tracce ematiche». Secondo il pg Monferini quelle presentate erano «mere congetture» e «prospettazioni astratte». E la Cassazione ha dato ragione a lui.

La vicenda

La storia è nota a tutti: una fredda sera dell’11 dicembre 2006, verso le 20:30, a Erba (provincia di Como) nella corte di via Diaz 25, vengono uccisi a colpi di coltello e di spranga Raffaella Castagna, il figlio Youssef, la nonna del bambino Paola Galli, e la vicina di casa Valeria Cherubini, mentre scampa alla morte il marito di quest’ultima, il superteste Mario Frigerio, che rimane gravemente ferito. Alla strage seguì un fuoco appiccato nell’abitazione.

Il primo sospettato fu il compagno di Raffaella, Azouz Marzouk, ma aveva un solidissimo alibi: si trovava in Tunisia e così venne scagionato. L'attenzione si spostò poi sui coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi, due vicini di casa di Raffaella Castagna che in passato avevano avuto contenziosi legali con la defunta. I due furono condannati in primo grado dalla Corte d’assise di Como e in secondo grado dalla Corte d’assise d’appello di Milano a due ergastoli, con conseguente isolamento diurno per tre anni, per i reati di pluriomicidio aggravato, incendio, violazione di domicilio e reato di porto d’arma fuori dall’abitazione, nonché per omicidio e tentato omicidio per i fatti che poi diverranno noti alla cronaca, appunto, come “strage di Erba”.

La Corte di Cassazione il 3 maggio 2011 confermerà la doppia conforme di condanna. Il 1° marzo 2024 davanti alla Corte d'Appello di Brescia si era tenuta la prima udienza sulla richiesta del processo di revisione. La Corte, in qualità di giudice della revisione, aveva riunito le due istanze di revisione presentate dai legali di Romano e Bazzi - Fabio Schembri, Nico D’Ascola, Patrizia Morello e Luisa Bordeaux - e dall’ex sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser, sanzionato con la censura lo scorso anno dalla Sezione Disciplinare del Csm per avere violato il progetto organizzativo del suo ufficio per le modalità con cui propose la richiesta di revisione. A luglio 2024 era arrivata la decisione: ricorsi inammissibili. Da lì la via della Cassazione.

I motivi del ricorso

1. Il racconto dell'unico testimone della tragedia, Mario Frigerio

Colpito con un fendente alla gola e creduto morto dagli assalitori, riuscì a salvarsi grazie ad una malformazione congenita alla carotide che gli impedì di morire dissanguato. Per i giudici fu ritenuto sempre attendibile, a differenza dei consulenti della difesa.

Come leggiamo nella relazione del professor Strata «nel primo interrogatorio del 15 dicembre, il teste Frigerio risponde con precisione e lucidità alle varie domande e poi descrive il suo aggressore di carnagione scura (poi precisa olivastra) capelli corti, tanti capelli corti, grosso di stazza, capelli neri. Inoltre, su precisa domanda risponde di non aver mai visto prima quella persona. Fra l’altro tra il 15 ed il 20 dicembre 2006 il Sig. Frigerio dirà al figlio Andrea di poter riconoscere lo sconosciuto aggressore tramite identikit o fotografia segnaletica. Trattandosi di fatti raccontati a pochi giorni dagli eventi questa memoria va considerata la più genuina e affidabile».

Tutto cambia con un altro interrogatorio reso al Luogotenente Gallorini. Per il professor Strata «un pressante esercizio di immaginazione avvenuto nell’interrogatorio da parte del Luogotenente Gallorini sulla figura di Olindo ed il ripetuto tentativo di insinuare un dubbio costituisce la più potente arma per falsificare il ricordo. [...]Il valore della testimonianza del Sig. Frigerio, il quale ha sicuramente sempre agito in buona fede, richiede di essere valutata con molta cautela.

Dall’esame del materiale in mio possesso non risulta che il teste Frigerio abbia fatto dichiarazioni “senza mai mostrare contraddizioni fra una versione e l’altra”. [...] La seconda versione deve ritenersi sicuramente influenzata dall’invito a meditare sulla possibilità che l’aggressore fosse il Sig. Olindo Romano».

2. La traccia di sangue presente nell’auto di Olindo

Attribuita a Valeria Cherubini, una delle vittime, essa ha rappresentato uno dei pilastri della Pubblica Accusa. Infatti, la Procura ha sostenuto (con successo) che quella traccia ematica è stata trasportata nell’auto dei Romano da Olindo, dopo aver calpestato il sangue delle vittime per le aggressioni mortali da lui stesso provocate.

Per il biologo forense Eugenio D'Orio, incaricato di condurre le indagini biologiche e genetiche per conto di Azouz Marzouk, ovvero della parte offesa, « la “traccia di sangue” non esiste! Quella traccia biologica, che appartiene alla vittima Cherubini, è certamente non di provenienza ematica». Inoltre non si esclude che sia finita lì a causa del via vai di persone che hanno attraversato la scena del crimine.

3. La confessione

Come disse uno dei legali, Nico D' Ascola, «è vero che i Romano confessarono la loro responsabilità, ma lo fanno sulla base di una ricostruzione dei fatti nella quale l'avvocato Schembri è stato capace di individuare ben 384 contraddizioni rispetto alla realtà dei fatti che risulta da prove oggettive e accertate».