Momento cruciale per il caso della strage di Erba. Il prossimo 25 marzo, la quinta sezione della Corte di Cassazione sarà chiamata a pronunciarsi sul ricorso presentato dai difensori di Olindo Romano e Rosa Bazzi, i coniugi condannati all’ergastolo per il massacro dell’11 dicembre 2006.

Il ricorso punta a ribaltare la decisione della Corte d’Appello di Brescia, che ha giudicato «inammissibile» la richiesta di revisione del processo. Secondo i legali della coppia, guidati dall’avvocato Fabio Schembri, esistono nuove prove che non sono mai state prese in considerazione e che potrebbero mettere in discussione la condanna definitiva.

Il ricorso della difesa

Nel novembre scorso, la difesa ha depositato in Cassazione un documento di 111 pagine, firmato dagli avvocati Fabio Schembri, Nico D'Ascola, Patrizia Morello e Luisa Bordeaux. Il testo contesta la decisione della Corte d’Appello di Brescia del 10 luglio, che ha confermato la ricostruzione dei fatti, rimasta invariata negli ultimi 18 anni: secondo la giustizia italiana, furono proprio i coniugi Romano a uccidere, con spranga e coltelli, Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, di appena due anni, e la nonna materna del bambino, Paola Galli.

Dopo aver compiuto il massacro, gli assassini avrebbero appiccato un incendio per cancellare le tracce del delitto. Tuttavia, sulla loro strada trovarono i vicini di casa: Mario Frigerio, che sopravvisse grazie a una malformazione alla carotide che evitò il dissanguamento, e sua moglie Valeria Cherubini, che invece fu colpita sulle scale e poi uccisa nella mansarda della loro abitazione.

Secondo la difesa, la sentenza della Corte d’Appello di Brescia presenta diverse incongruenze. Viene definita in alcuni punti «scollegata» dai contenuti dell’istanza difensiva, in altri «illogica», fino a risultare «contraddittoria in modo macroscopico». Gli avvocati sostengono inoltre che vi sia stato un errore giuridico nell’interpretazione delle norme, portando a una decisione viziata alla base.

I tre pilastri della condanna sotto accusa

Nel ricorso, la difesa punta a demolire i tre elementi fondamentali su cui si basa la condanna: la testimonianza di Mario Frigerio, unico sopravvissuto e testimone oculare dell’attacco; la traccia di sangue rinvenuta sul battitacco dell’auto di Olindo Romano, appartenente a una delle vittime; le confessioni degli imputati, successivamente ritrattate.

Secondo i legali, nel fascicolo del processo sono emerse nuove evidenze scientifiche e dati clinici inediti, che – se analizzati alla luce delle più recenti scoperte – metterebbero in discussione l’attendibilità di Frigerio. Viene inoltre evidenziato come alcuni dettagli sulla morte di Valeria Cherubini siano stati descritti in modo confuso e contraddittorio.

Non mancano critiche alla sentenza della Corte d’Appello, accusata di aver ignorato elementi «innovativi e dirompenti», oltre a manifestare un «cortocircuito logico» nel rigettare la revisione. Secondo la difesa, i giudici avrebbero negato la novità delle prove portate a sostegno della tesi che le confessioni di Romano e Bazzi fossero false.

Di conseguenza, gli avvocati sostengono che la sentenza di Brescia sia viziata sia dal punto di vista giuridico, sia nella sua motivazione, che in alcuni punti sarebbe «omessa o meramente apparente».

Verso l’udienza in Cassazione

Ora spetta alla Corte di Cassazione decidere se accogliere il ricorso e annullare la sentenza della Corte d’Appello di Brescia. Se ciò accadesse, si aprirebbe la possibilità di una revisione del processo e un nuovo esame delle prove.