Morti evitabili. Con un po’ di accortezza, la strage di Cutro non sarebbe mai stata raccontata, semplicemente non sarebbe avvenuta. È questa la conclusione a cui è giunta la procura di Crotone, che ha chiuso le indagini sulla catena dei soccorsi dello sbarco del 26 febbraio 2023, quando l’impatto della “Summer Love” contro una secca a pochi passi dalla riva costò la vita ad almeno 98 migranti, molti dei quali giacciono ancora sul fondo del mare. Per il pm Pasquale Festa e il procuratore Giuseppe Capoccia, i sei indagati avevano «tutti e indistintamente il prioritario, fondamentale e ineludibile obbligo di salvaguardare la vita in mare». Con la Guardia di Finanza che aveva l’obbligo di comunicare (e la Capitaneria di Porto di acquisire) «tutte le informazioni idonee ad incidere sulla valutazione dello scenario operativo». Cosa che non è avvenuta, causando una delle peggiori stragi che il Mediterraneo ricordi. L’accusa è pesantissima: naufragio colposo e omicidio colposo plurimo. A finire sul registro degli indagati G. G., capo turno della sala operativa del Comando provinciale della Guardia di Finanza e del Roan di Vibo Valentia: A. L., comandante del Roan di Vibo Valentia, che aveva il compito di monitorare ed intercettare il “Summer Love” e il potere di avocare le operazioni; A. L., ufficiale in comando tattico e controllo tattico presso il Roan di Vibo Valentia; N. V., comandante del Gruppo aeronavale di Taranto, deputato a impartire ordini al pattugliatore Barbarisi, dislocato sul territorio di Crotone; F. P., ufficiale di ispezione in servizio presso il Comando generale delle Capitanerie di Porto a Roma e N. N., ufficiale di ispezione in servizio la notte tra il 25.02.2022 e il 26.02.2023 al Comando generale di Reggio Calabria.

Stando a quanto ricostruito dalle indagini, Frontex aveva segnalato, il 25 febbraio, la presenza di un natante «verosimilmente adibito al trasporto di migranti clandestini», diretto verso le coste calabresi e intercettato a circa 38 miglia nautiche da Le Castella, in condizioni di «buona galleggiabilità». Il comando generale della Guardia costiera ha qualificato l’intervento come operazione di polizia, attribuendo la competenza al Reparto operativo navale delle Fiamme Gialle di Vibo Valentia. Che, scrive il pm, avrebbe dovuto «effettuare il monitoraggio occulto del “target” in avvicinamento, per poi intervenire direttamente alle 12 miglia», come previsto da decreti e accordi, secondo cui la priorità è sempre quella di salvare vite. La Guardia costiera aveva dato la disponibilità ad impiegare, autonomamente o in ausilio, «assetti certamente operativi e che potevano navigare senza alcune difficoltà». Ma per «grave negligenza, imprudenza, imperizia, in violazione del regolamento Ue 656/2014» e delle norme tutto ciò non è avvenuto. Ad ognuno la procura contesta singoli comportamenti che legati a quelli degli altri (o alle loro omissioni) avrebbero portato alla tragedia. Nello specifico l’ufficiale in comando tattico del Roan, una volta ricevuta la segnalazione da Frontex, ha spedito in mare un’unità che non avrebbe potuto navigare date le condizioni meteo marine - mare forza 4 e vento burrasca da sud forza 7 con previsioni in peggioramento -, cosa di cui era «perfettamente conscio».

Ma non solo: pur allertando Reggio Calabria per un eventuale supporto, ha omesso di assicurarsi che la Capitaneria fosse informata delle condizioni di navigazione, ignorando le offerte di aiuto arrivate dalla Guardia costiera, nonostante la vedetta fosse già rientrata in porto. La nave, da un certo punto in poi, non è stata più monitorata e l’ufficiale avrebbe atteso «inerte» che N. V. ordinasse l’impiego del pattugliatore Barbarisi «all’ultimo momento utile per intercettare il target in prossimità della costa, anziché all’ingresso delle acque territoriali». Dal canto suo, il comandante del Roan avrebbe potuto, in ragione del ritardo accumulato, avocare a sé l’operazione, cosa che però non ha fatto. Nessuno ha comunicato a Reggio Calabria le difficoltà di navigazione - «diciamo che per il momento è un’attività di polizia che gestiamo», era stato riferito -, nonostante l’unità della Finanza stesse già rientrando in porto, «celando negligentemente informazioni che, se conosciute, avrebbero (o avrebbero dovuto) comportare l’attivazione del piano Sar». Il Barbarisi, dal canto suo, è stato mandato per mare solo alle 2.05, accumulando un ritardo di oltre due ore, il tutto per la «precisa e negligente scelta operativa di impartire l’ordine di navigazione all’ultimo minuto». Nessuno, dai posti di controllo, ha approfondito i ritardi, le condizioni meteo, le attese, le scelte che hanno impedito che quelle persone venissero salvate, scelte che, secondo la procura, ne hanno provocato la morte. Se qualcuno avesse agito come dovuto, la Guardia di Finanza avrebbe messo in mare mezzi «sicuramente idonei a navigare in sicurezza, servendosi dei quali personale dello Stato avrebbe, una volta acquisito a vista il “target”, constatato la presenza di almeno 180 persone a bordo del caicco “Summer Love”, numerose delle quali minori e neonati, con conseguente applicazione del piano Sar scenario Detresfa, impedendo in tal modo che il caicco fosse incautamente diretto dagli scafisti verso la spiaggia di Steccato di Cutro e, in prossimità dell’approdo, si sgretolasse, urtando contro una “secca” a seguito di una manovra imperita del timoniere, così non impedendo l'affondamento del natante e la conseguente morte di almeno 98 persone, decedute tutte per annegamento». Morti che nessuno avrebbe mai dovuto piangere.

La ricostruzione della strage

Il caicco che si era schiantato su una secca a pochi metri dalla costa, nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023. Secondo la ricostruzione, Frontex, nella tarda serata di sabato, avvisa il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo della presenza del barcone a 40 miglia dalle coste calabresi. L’agenzia europea parla di un uomo solo sul ponte, ma anche di una significativa risposta termica dai boccaporti aperti a prua e di una telefonata satellitare dalla barca alla Turchia, elemento che fa ipotizzare che si tratti di una imbarcazione di migranti. Una comunicazione arriva poi anche dalla Guardia di Finanza, che spedisce due motovedette in mare. Ma si tratta di un’operazione di polizia, dunque non adeguata al salvataggio, che si conclude poco dopo per vie delle avverse condizioni meteo. Fino a questo momento nessuno apre un evento Sar, che consentirebbe il salvataggio dei migranti.

Una volta rientrate in porto le motovedette, la Finanza contatta via radio la Capitaneria di Porto di Reggio Calabria. Ma nemmeno in questo caso vengono «segnalate situazioni critiche» tali da far scattare «un'operazione di emergenza». Alle 4.10 arriva al 112 una telefonata da un numero internazionale, in inglese. E a quel punto i Carabinieri si precipitano in spiaggia, dove già affiorano i primi corpi. Il vicebrigadiere Gianrocco Tievoli e il carabiniere Gioacchino Fazio si gettano in acqua, salvano cinque migranti, ma tutto attorno ci sono corpi, compreso quello di un neonato di sei mesi.