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Una mail firmata dal capitano di vascello Gianluca D’Agostino, capocentro operativo nazionale e dell’Imrcc (Italian Maritime Rescue Coordination Center) potrebbe riscrivere la storia della tragedia di Cutro. E alimenta i sospetti sulla possibile responsabilità politica in merito alla gestione del caicco che si è schiantato su una secca a pochi metri dalla costa, nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023, provocando centinaia di morti. La mail - mostrata in diretta dal programma di Marco Damilano “Il Cavallo e la Torre”, è stata inviata il 27 giugno 2022 a tutte le capitanerie locali. Un documento nel quale viene fatto esplicito riferimento al «livello politico» nella gestione degli eventi migratori - in quel momento il ministro dell’Interno è Luciana Lamorgese, affiancata da un vice leghista, Nicola Molteni -, che spiegherebbe la dinamica di quella notte, con l’intervento esclusivo della Guardia di Finanza in cerca di criminali via mare e le navi inaffondabili della Guardia Costiera rimaste in porto.
Una situazione che rimanda alle parole del Comandante della Capitaneria di Porto di Crotone, Vittorio Aloi, che a tragedia appena avvenuta aveva ammesso, davanti ai cronisti, che «si poteva uscire anche con mare forza 8». Ovvero in condizioni metereologiche ben peggiori di quella notte, quando il mare era forza 4. «Ne puoi salvare centomila ma poi un solo bambino o una famiglia che non riesci a salvare ti fa sembrare inutile il tuo lavoro». Lavoro che si basa su precise «regole d’ingaggio», aveva chiarito, secondo cui «le operazioni le conduce la Finanza fin quando non diventa un evento Sar». Insomma, sarebbero dovute intervenire le Fiamme Gialle, stando ai piani operativi, che «non dipendono solo dal nostro ministero di competenza, ma anche dal Viminale».
La mail è chiara: a partire dal 27 giugno 2022 (pochi mesi prima della strage, dunque), sia entro che oltre le 12 miglia - ovvero il limite delle acque territoriali - l’intervento della Guardia Costiera «potrà essere eseguito solo dichiarando evento Sar». Serve, dunque, questa classificazione da parte della sala operativa del centro di ricerca e soccorso di Roma per mettere in mare le motovedette della Guardia Costiera. In caso contrario, si tratta di un’operazione di polizia e tocca alle Fiamme Gialle intervenire.
Secondo la ricostruzione, Frontex, nella tarda serata di sabato, avvisa il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo della presenza del barcone a 40 miglia dalle coste calabresi. L’agenzia europea parla di un uomo solo sul ponte, ma anche di una significativa risposta termica dai boccaporti aperti a prua e di una telefonata satellitare dalla barca alla Turchia, elemento che fa ipotizzare che si tratti di una imbarcazione di migranti. Una comunicazione arriva poi anche dalla Guardia di Finanza, che spedisce due motovedette in mare. Ma si tratta di un’operazione di polizia, dunque non adeguata al salvataggio, che si conclude poco dopo per vie delle avverse condizioni meteo. Fino a questo momento nessuno apre un evento Sar, che consentirebbe il salvataggio dei migranti.
Una volta rientrate in porto le motovedette, la Finanza contatta via radio la Capitaneria di Porto di Reggio Calabria. Ma nemmeno in questo caso vengono «segnalate situazioni critiche» tali da far scattare «un'operazione di emergenza». Alle 4.10 arriva al 112 una telefonata da un numero internazionale, in inglese. E a quel punto i Carabinieri si precipitano in spiaggia, dove già affiorano i primi corpi. Il vicebrigadiere Gianrocco Tievoli e il carabiniere Gioacchino Fazio si gettano in acqua, salvano cinque migranti, ma tutto attorno ci sono corpi, compreso quello di un neonato di sei mesi. Se tutto questo fosse evitabile ora sarà la procura a chiarirlo.
«L’Italia si è girata dall’altra parte e ha fatto esattamente ciò che dice di non voler fare: il gioco degli scafisti», aveva detto al Dubbio, lo scorso anno, Francesco Verri, legale assieme ai colleghi Vincenzo Cardone, Mitja Gialuz e Luigi Li Gotti dei familiari delle vittime del tragico sbarco di Cutro, che ad oggi conta 94 vittime accertate. Un elemento che emergerebbe anche dalle testimonianze raccolte durante l’incidente probatorio in corso nel procedimento a carico dei presunti scafisti. «Ora qualcuno deve spiegare perché le cose sono andate così».