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Decisamente inattendibili i presunti testimoni della presenza di Stefano Delle Chiaie, detto “er caccola”, il neofascista fondatore di Avanguardia Nazionale, sul luogo della strage di Capaci e addirittura del reperimento dell’esplosivo in una cava. Allo stesso modo, non esiste alcun documento che provi il suo coinvolgimento. Fino ad ora, siamo stati solo esposti a suggestioni e alla riproposizione dell'ormai vecchia inchiesta del 1993, archiviata per mancanza di elementi probatori - elementi che continuano a mancare - portata avanti dagli allora procuratori di Palermo Roberto Scarpinato e Antonio Ingroia. Tuttavia, nonostante ciò, sotto l'impulso della direzione nazionale antimafia (Dna), la procura di Caltanissetta continua a seguire questa pista. Il contrario di quanto fatto dalla procura guidata da Sergio Lari, che non raccolse l'impulso dell'ex componente della Dna, Gianfranco Donadio. L’allora capo procuratore nisseno, infatti, si avvalse dei migliori magistrati disponibili per battere una pista che poi si rivelò fondata: smascherarono il depistaggio di Via D’Amelio, dove perse la vita Paolo Borsellino e la sua scorta.
Dal punto di vista mediatico, tutto è partito dalla trasmissione Report del 23 maggio dell'anno scorso, che ha trasmesso un'intervista inedita all'ex brigadiere Walter Giustini, che aveva come informatore (e poi pentito, ma recentemente scomparso) Alberto Lo Cicero. Costui affermò di averlo messo sulla buona strada per la cattura di Totò Riina già nel 1991. Ma lo “scoop” che ha fatto tremare le coscienze è l'intervista rilasciata dalla ex compagna di Lo Cicero, Maria Romeo, la quale parla della presenza di Stefano Delle Chiaie a Capaci. Lei va addirittura oltre, sostenendo che fu lui a preparare l'attentato. Questo potrebbe portare a una completa revisione delle sentenze riguardanti l'attentato contro Giovanni Falcone. La trasmissione di Rai3 ha riportato in auge la pista neofascista eversiva, la P2, la strategia della tensione e il progetto occulto in cui Falcone è solo uno dei tanti "birilli" destinati ad essere eliminati per realizzare un disegno orchestrato dalla lunga mano americana: stragi di mafia sovrapposte a quelle degli anni 70 e 80.
In realtà, questo “scoop” è arrivato dopo che Maria Romeo fu sentita dall'ex procuratore generale di Palermo Scarpinato e dal collega Domenico Gozzo. Va ricordato che quest'ultimo fa parte dell’attuale Dna. Si parla di indagini ovviamente segrete, quindi il giornalista Paolo Mondani di Report ha avuto sicuramente un ottimo fiuto senza alcun suggerimento. Detto questo, possiamo chiaramente etichettare il tutto come “spazzatura”. Lo si evince anche dalla recente ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Caltanissetta nei confronti di Walter Giustini, accusato di aver depistato tramite le sue dichiarazioni. Giustini ha affermato a Report di aver appreso da Romeo che Delle Chiaie era a Capaci. Tuttavia, già prima di Report, aveva dichiarato di non ricordare nulla riguardo a ciò, quando fu interrogato dall'allora procuratore Scarpinato. Dopo la trasmissione in prima serata, interrogato nuovamente dalla procura di Caltanissetta, Giustini ha sostenuto che Maria Romeo non gli aveva detto nulla riguardo a Delle Chiaie, ma solo che lo conosceva, senza fare alcun riferimento alla mafia. In sostanza, dichiarazioni discordanti. Emerge che sia Giustini che Romeo, intervistati in tv, hanno cercato di attirare l'attenzione dicendo cose sicuramente utili per l’audience, ma non per la verità. Di conseguenza, molti giornali hanno fatto il solito copia-incolla acritico (tranne noi de Il Dubbio) e l'ex procuratore generale, ora senatore del Movimento 5 Stelle, Scarpinato, ha affermato in tv, senza usare il condizionale, che c'è un documento che conferma il coinvolgimento di Delle Chiaie nell'attentato di Capaci. Tuttavia, come vedremo più avanti, tale documento non prova assolutamente nulla.
Passando a Maria Romeo l'esito dell'analisi delle sue dichiarazioni, come si evince dall'ordinanza, dimostra chiaramente che lei ha “millantato conoscenze” - così scrive il gip -, limitandosi a inventare una serie di falsità e suggestioni (emblematica è la narrazione riguardante l'incontro con Paolo Borsellino), basate su due circostanze vere della sua vita. In particolare, la sua conoscenza effettiva di Stefano Delle Chiaie, derivante dal fatto che suo fratello, Domenico Romeo, era il factotum dell'ex deputato del Movimento Sociale Italiano, l'avvocato Stefano Menicacci (storico legale di Delle Chiaie, legato a quest'ultimo da un rapporto certamente stretto, anche in ragione della comune fede politica). L'altra circostanza riguarda il suo rapporto sentimentale con Alberto Lo Cicero agli inizi degli anni 90. Null'altro. E ancora, secondo l'ordinanza, la conoscenza di Delle Chiaie e il rapporto sentimentale con Lo Cicero “sono stati artificiosamente collegati da Romeo per creare una narrazione che le permettesse di ottenere, sin dagli anni '90, lo status di collaboratrice di giustizia”. Inoltre, il giudice, valutando la sua personalità, sottolinea nell'ordinanza che “non si può dimenticare che si tratta di una persona che già nel 1992 aveva problemi di alcolismo ed era pronta a fare 'tutto' per realizzare il suo obiettivo di diventare una collaboratrice di giustizia”.
Venendo al famoso documento “sparito” e poi ritrovato, si tratta di una relazione di servizio del 5 ottobre 1992 redatta dal capitano Gianfranco Cavallo, allora comandante dell'aliquota Carabinieri di Polizia Giudiziaria. Tale documento fu trasmesso sia agli uffici territoriali dell'Arma dei Carabinieri che alle autorità giudiziarie competenti, ossia le Procure di Caltanissetta e di Palermo. Questo documento è l'unico di servizio che riferisce, tramite una fonte confidenziale, di contatti avvenuti in epoca antecedente alla strage di Capaci tra Delle Chiaie e Mariano Tullio Troia, un elemento di rilievo della mafia palermitana. Non solo, ma sempre da questa fonte emergerebbe il fatto che Delle Chiaie si fosse recato in una cava per procurarsi dell'esplosivo. Né la procura di Palermo dell'epoca, né quella di Caltanissetta diedero peso a questo documento. Successivamente, nel 2007, il magistrato Gianfranco Donadio, all'epoca operante nella Dna, rispolverò questa relazione, ma afferma di non aver ricevuto alcun impulso da parte della procura di Caltanissetta all'epoca. In realtà, come detto, la procura era fortemente impegnata nello smascheramento del depistaggio di Via D’Amelio, riuscendoci. Inoltre, va aggiunto che la procura di Caltanissetta stessa (ma anche quella di Catania) qualche anno dopo denuncerà Donadio al Csm per altre questioni riguardanti alcune indagini.
Detto ciò, chi era la fonte confidenziale di questa famosa nota, impropriamente spacciata come prova del coinvolgimento di Delle Chiaie? Era Maria Romeo, colei che - come sostiene l'ordinanza stessa - ha inventato conoscenze ed episodi per costruire “una narrazione che le consentisse di ottenere, sin dagli anni 90, lo status di collaboratrice di giustizia”. Ma allora, di cosa stiamo parlando? È possibile che ancora una volta si stiano seguendo piste che rischiano di tralasciare un'attenta analisi dei fatti ancora non chiariti? Falcone, che tra l'altro si opponeva fermamente alle dietrologie, e Borsellino, non meritano tutto ciò. Ma forse ciò che conta di più è l'intrattenimento. Questa è una questione che riguarda soprattutto il giornalismo nostrano, che a sua volta influisce anche sulle procure.