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Su queste stesse pagine si è sempre detto che il complottismo è funzionale allo Stato di Polizia. Il teorema trattativa è diventata, di fatto, una spada di Damocle per qualsiasi governo. Sia per quello più “illuminato” che vorrebbe, per quanto riguarda il sistema penitenziario, essere più aderente possibile ai dettami della nostra Costituzione, sia per quello più conservatore come l’attuale che, nonostante abbia approvato la riforma dell’ergastolo ostativo pieno di paletti non cogliendo appieno le indicazioni della Consulta, viene nemmeno troppo velatamente accusato di aver varato tale riforma come merce di scambio per la cattura di Matteo Messina Denaro.
Eppure basterebbe riportare i fatti. Se la preclusione assoluta ai benefici per una determinata tipologia di ergastolani è stata messa in discussione, il merito non va ai non meglio specificati connubi tra mafie e apparati deviati dello Stato, ma ai magistrati di sorveglianza – compresi i giudici della Cassazione - che sollevarono problemi di incostituzionalità alla Consulta. A loro volta i “giudici delle leggi” hanno dapprima sentenziato l’incostituzionalità della preclusione assoluta dei permessi premio (poche ore di libertà l’anno) e poi hanno “ordinato” al Parlamento di varare una riforma per togliere la preclusione assoluta della liberazione condizionale.
Tutto qui. La semplice verità. A meno che non si arrivi a pensare che i magistrati di sorveglianza, quelli della Corte Suprema e quelli della Consulta siano attigui alla mafia. Non solo. Seguendo questo ragionamento, sarebbero contaminati dai tentacoli mafiosi anche i giudici della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, visto che, attraverso la sentenza Viola, hanno condannato il nostro Paese per tale preclusione assoluta.
La riforma dell’ergastolo ostativo, quindi, è stata varata perché obbligati da una sentenza. Così come, nel 1993, l’allora ministro della Giustizia, Giovanni Conso, a seguito di una sentenza della Corte costituzionale, era “obbligato” a valutare caso per caso i detenuti al 41 bis. Per questo non ha prorogato il carcere duro per circa 300 ristretti. Tutti mafiosi? I fatti – ben evidenziati nella sentenza d’appello relativa all’assoluzione dell'ex ministro Calogero Mannino – ci dicono che tra i detenuti non sottoposti al rinnovo del 41bis, soltanto 18 appartenevano alla mafia. Non solo. A sette di loro, peraltro, nel giro di poco tempo, dopo un ulteriore valutazione, è stato nuovamente riapplicato. Ma erano boss di calibro i pochi mafiosi ai quali non è stato rinnovato il 41bis? Assolutamente no. Dalle carte risulta che né dalla Procura di Palermo e né dalle forze dell'ordine, era stato evidenziato uno spessore criminale di particolare rilievo di taluno di loro.
Ma ritorniamo all’ergastolo ostativo. Chiarito che tale riforma è stata obbligatoria, bisogna entrare nel merito. È mancato un generale ripensamento dell’attuale disciplina della concessione dei benefici ai condannati per una serie del tutto eterogenea e illogica di reati anche ben distanti da qualsiasi matrice organizzata, mafiosa o terroristica. Nel decreto c’è anche un inutile aggravamento di tale disciplina: è stata infatti abolita la concedibilità dei benefici nei casi di collaborazione inutile o irrilevante, così da impedire un trattamento adeguato per chi non abbia collaborato perché non ha potuto farlo, stante la sua limitata partecipazione al fatto criminoso o per l’ormai intervenuto integrale accertamento delle circostanze e delle responsabilità ad esso connesse. Altro inasprimento della riforma è l’aumento da ventisei a trent’anni della pena da scontare prima di poter presentare l’istanza di liberazione condizionale. Anche questa è una misura inutilmente punitiva, che disattende la direzione auspicata dalla Consulta. Ma evidentemente non basta. Lo spettro della trattativa aleggia ancora. Per poter assecondare tale congettura, l’unica strada che rimane è abolire l’articolo 27 della Costituzione italiana. Ancora altre rivelazioni prive di riscontro nelle trasmissioni in prima serata e il passo sarà breve.