“L'errore commesso dal governo sulla Consulta? Non è certo nella proposta di un candidato di parte - questo è sempre accaduto - ma è nel tentativo di eleggerlo senza cercare una condivisione con le opposizioni. Condivisione sulla idoneità del giurista, non spartizione delle caselle a disposizione. Perché la Corte non può essere lottizzata. La Corte non è la Rai dove un conduttore può realisticamente dichiarare di rendere conto all'azionista di maggioranza: alla Rai è così, anche se non va bene neppure lì. Se un giudice costituzionale rendesse conto al partito che ce l'ha messo, ciò comporterebbe la totale delegittimazione della Consulta, e quindi una ferita per la democrazia”. A parlare è Giuliano Amato, presidente emerito della Corte Costituzionale, in un'intervista a Repubblica, commentando lo stallo in Parlamento per l’elezione del giudice mancante della Consulta dopo l’ultima fumata nera di martedì scorso. 

Sulla candidatura di Francesco Saverio Marini, consigliere giuridico di Giorgia Meloni e autore del disegno di legge sul premierato, Amato dice di non vedere “alcuna incompatibilità. Peraltro la Consulta giudica la costituzionalità delle leggi ordinarie, non degli emendamenti costituzionali, se non in casi eccezionali”. Per il presidente emerito della Corte Costituzionale “il punto è un altro. Abbiamo assistito in questi giorni a quello che io reputo un tradimento delle procedure parlamentari. I capigruppo della maggioranza avrebbero dovuto riunirsi con i capigruppo delle opposizioni per illustrare la figura e le competenze giuridiche di Marini nel tentativo di raggiungere i tre quinti dei voti. Se la Costituzione prevede un quorum così alto, addirittura più alto di quello previsto per la elezione del capo dello Stato, ci sarà una ragione. E questa va cercata nella necessità di una condivisione, di una decisione partecipata”.

Giuliano Amato vede poi un “rischio immanente” che la voce della Consulta non venga più accettata “soprattutto in un paese come il nostro in cui la cultura della divisione dei poteri è entrata con più fatica. È compito della maggioranza esserne consapevole. Ma è anche compito della stessa Corte fare in modo di sottrarsi all'accusa di essere schierata politicamente”. 

Intervistata ieri sera al Tg5, la premier Meloni torna sull’argomento spiegando che “sulla Consulta abbiamo semplicemente tentato di fare quello che ci dice la Costituzione e dice che dobbiamo eleggere un giudice della Corte entro 30 giorni quando un giudice manca. Sono passati 10 mesi, abbiamo il diritto di fare le nostre proposte”. “Mi ha colpito che l'opposizione invece di fare altre proposte abbia addirittura impedito ai parlamentari di entrare e partecipare alla votazione”. 

Sulla Consulta “per me una intesa politica sarebbe la cosa migliore: a dicembre saranno 4 i giudici in scadenza, vedrei già da ora con favore un accordo tra gentiluomini per dare spazio alle varie sensibilità. Certo, ci vuole il clima giusto ma se invece questo non dovesse esserci e il Parlamento decidesse a maggioranza, non ci sarebbe nulla di illecito”, commenta invece il presidente del Senato, Ignazio La Russa, parlando al Corriere della Sera. La seconda carica dello Stato torna a smentire la notizia di un suo presunto tentativo per portare la senatrice di Italia Viva Dafne Musolino dentro la maggioranza di centrodestra: “È una menzogna dire - come fa Renzi - che abbiamo pranzato assieme e parlato di un suo voto alla Consulta. Non abbiamo preso né un caffè né un bicchier d'acqua”. Quindi l’affondo: “Mi faccia fare una battuta: avevo detto che, tra gli avversari, sarei andato volentieri a pranzo con Renzi perché è divertente. Beh, ritiro. Non è divertente”, dice La Russa sulla querela del leader Iv al portavoce del presidente del Senato. “Pare aver esaurito amici, ministri, avversari, alleati, ex alleati da attaccare, e ora comincia coi portavoce. Si aprono nuove praterie - conclude - alle scorribande renziane”.