La battaglia era stata dura, durissima. Ottenere che la legge di Bilancio per il 2021 prevedesse – per la prima volta dopo anni di insistenze del Cnf – un fondo per restituire almeno parzialmente agli assolti le spese legali sostenute fu un’impresa. Ci volle tutta la tenacia di Enrico Costa, già all’epoca responsabile Giustizia di Azione.

Ebbene, l’ultima Manovra firmata Giuseppe Conte assegnò a via Arenula uno stanziamento di 8 milioni. Poi ci vollero mesi perché i tecnici del ministero individuassero una soluzione applicativa, visto che, a fronte di qualcosa come 125mila potenziali beneficiari, la somma disponibile sembrava irrisoria. Marta Cartabia emanò a fine novembre 2021 il decreto attuativo, poi “convalidato” dal Mef, che fissava i criteri di priorità, in modo da “privilegiare” alcuni assolti a scapito di altri. Se si fosse semplicemente ripartito il fondo fra tutti gli aventi diritto, il ristoro sarebbe consistito nella ridicola cifra di 63 euro a testa, spiegò, in un question time, l’allora sottosegretario Francesco Paolo Sisto.
Ormai è storia. Nel frattempo ci sono state le Politiche di settembre 2022, la nascita del governo Meloni e l’arrivo, a via Arenula, di un nuovo guardasigilli, Carlo Nordio. Il quale ha creduto fortemente nel risarcimento delle spese legali per chi sia stato prosciolto con una delle formule “ampiamente liberatorie” previste dalla legge. Tanto è vero che il ministro della Giustizia, appena insediato (e prima ancora che gli uffici elaborassero i dati sull’impatto iniziale del beneficio), ottenne che la prima “finanziaria” del suo Esecutivo incrementasse da 8 a 15 milioni lo stanziamento. Un successo raggiunto grazie anche all’impulso del solito, encomiabile Costa.


Ebbene: tanto impegno per un risultato sorprendentemente modesto. Nel senso che le domande sono poche. Assai meno di quanto se ne potrebbero soddisfare. E tra le istanze, una parte notevole non rientra nei parametri fissati, nel senso che non fanno riferimento ad assoluzioni pronunciate con le formule previste dalla norma. Parliamo di numeri davvero deludenti, rispetto ai timori di 3 anni fa, quando il rischio sembrava di doversi trovare a elargire un’elemosina. E invece: appena 362 domande, di cui solo la metà (182 per l’esattezza) accolte nell’anno 2022, il primo in cui il rimborso è stato disponibile, per un’erogazione complessiva pari a 950.948 euro, cioè a meno di un ottavo del fondo (che all’epoca era, come detto, di 8 milioni).

L’anno scorso è andata un po’ meglio, ma la domanda è ancora incredibilmente bassa: sono state presentate in tutto 703 istanze di rimborso delle spese legali, ne è stata scartata una percentuale decisamente inferiore all’anno prima (198, con 505 domande accolte), ma la cifra erogata resta lontanissima dal pieno utilizzo del fondo: 2 milioni e 844.525 euro a fronte di una disponibilità arrivata come detto, grazie a Nordio e a Costa, a ben 15 milioni. Dati che vanno letti, certo, anche alla luce di una clausola: la norma di legge, quella inserita nella Manovra per il 2021, fissa un “limite pro capite” per i rimborsi pari a 10mila 500 euro. Soglia che, alla luce delle previsioni iniziali, aveva assolutamente senso. E che oggi, per certi versi, verrebbe voglia di innalzare un bel po’.
Non è solo il rammarico per tante vittime di processi ingiusti rimaste prive di un ristoro sacrosanto. C’è questo, come c’è un segnale per i penalisti, che alla luce delle statistiche, saranno certamente motivati a prospettare ai loro assistiti la possibilità di recuperare, se assolti, almeno una parte delle spese sostenute. Ma il punto, spiegano da via Arenula, è che se la tendenza non si inverte, se per l’anno in corso non arriverà un numero assai superiore di domande, e se quindi il fondo per gli assolti non verrà utilizzato in una percentuale assai più elevata, ci si esporrà al rischio che, con la prossima legge di Bilancio, via Arenula perda gran parte di quella disponibilità.

È il fatale meccanismo dei conti pubblici: se un fondo resta inutilizzato o sottoutilizzato, lo si estingue o lo si riduce. Il ministro e la sua squadra ne sono perfettamente consapevoli.
Alcuni aspetti della disciplina secondaria, definita dal decreto ministeriale che ogni anno indica le modalità per l’assegnazione del beneficio, potrà essere limata, in modo da allargare alcune maglie. È il caso, per esempio, in cui si è trovato un 27enne di Latina, M. L., che ha segnalato la propria vicenda in una lettera pubblicata da questo giornale lo scorso 26 agosto: secondo le “Faq”, cioè le indicazioni pubblicate sul sito di via Arenula, chi come lui ha pagato il difensore con l’aiuto della famiglia, con un bonifico effettuato da un genitore, non ha diritto a essere risarcito, giacché, ha previsto il ministero, la persona assolta e il contribuente che ha materialmente sostenuto le spese legali non coincidono.

È una rigidità che poteva forse giustificarsi se si fosse presentato il problema opposto, cioè un’incapienza del fondo rispetto alle domande. Ma almeno per ora, si potrà forse rimborsare anche qualche giovane ex imputato che, vista l’età, non poteva ancora permettersi di pagare l’avvocato e la cui famiglia ha dovuto affrontare la pena, e il peso economico, di un’accusa ingiusta.
Sono dettagli a fronte del problema generale. Che è l’accesso a un beneficio prezioso, per il quale l’avvocatura, e il Consiglio nazionale forense in testa, si è battuta per anni. Anche perché si tratta di una legge dall’alto valore simbolico: vincolare lo Stato a risarcire chi è stato sottoposto ingiustamente al calvario di un processo serve anche a ricordare che la potestà pubblica non è illimitata, che inciamparvi non è una sorta di incidente a cui il malcapitato deve piegarsi con rassegnazione. E certo, restringere il fondo previsto per affermare un così indiscutibile principio, scalfirebbe un po’ quel valore simbolico.