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«In ambito giudiziario, nelle procure, nei tribunali, nei tribunali di sorveglianza e tra magistrati, avvocati, psicologi serve molta più formazione e quindi specializzazione per riconoscere e affrontare con efficacia la violenza contro le donne, sanzionarla, prevenire escalation, sostenere le donne che denunciano». È questo l’assunto da cui muove il “Rapporto sulla violenza di genere e domestica nella realtà giudiziaria” approvato il 17 giugno dalla Commissione di inchiesta del Senato sul femminicidio e la violenza di genere, presieduta dalla senatrice dem Valeria Valente, e presentato nel corso del convegno che si è tenuto ieri presso la Sala Zuccari del Senato dal titolo “Giustizia e violenza contro le donne: riconoscere per perseguire”.
All’evento hanno partecipato, tra gli altri, il vicepresidente del Csm David Ermini, il primo presidente e il pg di Cassazione, Pietro Curzio e Giovanni Salvi, la presidente f. f. del Cnf, Maria Masi, e la senatrice Valente. Che parte da un’amara constatazione: «Il fenomeno della violenza maschile sulle donne, purtroppo, non conosce crisi. Lo registriamo ogni giorno». «L’Italia è dotata oggi di un buon impianto normativo», ha spiegato la senatrice del Pd, ma «la vera scommessa è di interpretare correttamente queste norme e per farlo c’è bisogno di una maggiore specializzazione e formazione di tutti gli operatori del complesso mondo della giustizia». «Molti passi ancora da compiere si registrano soprattutto nel settore civile, in modo particolare nei tribunali e negli ordini professionali», ha sottolineato Valente.
Per la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati il rapporto «rappresenta un documento di assoluta autorevolezza per determinare la qualità delle difese offerte dal nostro sistema giudiziario a donne e minori vittime di terribili violenze». In considerazione del fatto - ha sottolineato Casellati nel messaggio inviato in occasione dell’evento - che la violenza di genere «è un fenomeno criminale complesso, in larga parte sommerso, e purtroppo in continua espansione».
Sulla necessità di formare gli operatori del diritto con opportuni percorsi di specializzazione, è centrato anche l’intervento di Maria Masi. Che invita, inoltre, a un coordinamento più funzionale tra azione penale e procedimento civile nei casi di violenza domestica. «Occorre agevolare - ha spiegato la presidente del Cnf - le corrette interpretazioni per riconoscere efficacemente, nei tribunali civili, la violenza contro le donne mediante percorsi formativi solidi, grazie anche alla recente approvazione del decreto ministeriale sulle specializzazioni forensi. Il decreto, fortemente voluto dal Consiglio nazionale forense, stabilisce infatti, nella macro area del diritto civile, anche le specializzazioni per gli avvocati che si occupano di tutela della persona e delle relazioni familiari, e di diritti umani, con la giusta attenzione al ruolo sociale che l’avvocatura è chiamata a svolgere».
«Sono certa - ha concluso Masi che il dato, relativo al triennio 2016- 2018, emerso dal Rapporto sulla formazione degli avvocati, che li rappresenta scarsamente sensibili al tema della violenza di genere, oggi potrebbe essere diverso proprio perché, in virtù del regime transitorio del dm, sono molti gli avvocati che negli ultimi anni hanno seguito e si sono formati con i corsi organizzati dalle associazione specialistiche e grazie anche al forte ruolo sociale che esercitano i comitati per le pari opportunità presso gli ordini forensi». Il riferimento è all’esito dell’indagine svolta tra dicembre 2019 e il 2020 attraverso dei questionari sottoposti a procure, tribunali ordinari, tribunali di sorveglianza, Csm, Cnf, e ordine degli psicologi. Per quanto riguarda gli avvocati, il Cnf riferisce che dal 2016 al 2018 sono stati organizzati più di 100 eventi in materia di violenza di genere e domestica, ai quali hanno partecipato oltre 1000 avvocati ( su un totale di 243 mila), di cui l’ 80 per cento donne. In tre anni, dunque, solo lo 0,4 per cento ha partecipato a eventi formativi in materia di violenza di genere e domestica. Ma il dato riguardante i magistrati non è più confortante: nel triennio 2016- 2018 la Scuola superiore della magistratura ha organizzato solo 6 corsi di aggiornamento in materia di violenza di genere, frequentati nel 67 per cento dei casi da donne. Sebbene tra procure e tribunali siano diffuse buone pratiche, conclude il rapporto, dalla ricerca «emerge una realtà multiforme e complessa» che registra gravi carenze strutturali e di organico che condiziona «l’efficienza degli uffici giudiziari» nella prospettiva di garantire un intervento immediato. Con l’effetto di portare l’Italia ancora lontano dai principi sanciti nella Convenzione Istanbul, che impone ai Paesi firmatari di tutelare il diritto di “vivere liberi dalla violenza”.