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In base ad un'indagine INAPP il Servizio Sanitario Nazionale è giudicato più che positivamente da 6 italiani su 10, ma per metterlo in sicurezza, dopo l'esplosione del Covid-19, bisogna rilanciare i servizi territoriali, vero anello debole di questi mesi e perno delle cure primarie. Per far questo sia con il Cura Italia che con il decreto Rilancio il governo ha messo in campo risorse che puntano anche al riequilibrio tra l'offerta ospedaliera (1.4 miliardi di euro) e i servizi territoriali (1.2 miliardi di euro) nei diversi sistemi locali della sanità italiana. È quanto emerge dallo studio "Il sistema sanitario di fronte all'emergenza: risorse, opinioni e livelli essenziali" dell'INAPP, l'Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche Pubbliche. In particolare nello studio si mette in evidenza come il nostro Servizio Sanitario Nazionale si caratterizza, rispetto ai sistemi degli altri paesi industrializzati, per due aspetti: i tre principi fondamentali su cui si basa (universalità, uguaglianza ed equità); l'organizzazione (in particolare la governance multilivello e l'integrazione fra l'assistenza sanitaria e quella sociale). Dai dati INAPP-Plus emerge che 6 cittadini su 10 giudicano positivamente la sanità di base e quella di emergenza. Tuttavia questo è il valore medio; rimangono profonde le differenze tra i territori: in Trentino alto Adige e Emilia-Romagna la valutazione positiva è di oltre 8 persone su 10, mentre in Calabria e Molise si scende a 3 persone su 10. L'epidemia del virus Covid-19 ha fatto emergere le differenti capacità dei modelli regionali in termini d'infrastrutture territoriali e di personale qualificato disponibile. In ciò hanno giocato soprattutto il mancato inserimento negli anni del personale infermieristico e il sottodimensionamento nell'offerta di posti letto, drasticamente diminuita a partire dal 2004. Si arriva, nel complesso ad una riduzione netta del 20% di posti letto ordinari, con particolare concentrazione nel Centro Italia (-30%) e nel Meridione (-24%). Emerge inoltre come tra il 2011 e il 2017 la quota di lavoratori negli Enti Sanitari Locali con contratti di collaborazione o altre forme atipiche sia cresciuta del 78% e il lavoro temporaneo del 23,7%. Inoltre, in generale, la riduzione di risorse umane ha riportato il numero complessivo di dipendenti del SSN in servizio nel 2017 (658.700 unità) ad un livello inferiore a quello del 1997 (675.800 unità). Le riduzioni degli ultimi anni hanno riguardato, e questo è molto significativo, soprattutto i medici (-6% tra il 2010 e il 2017) e il personale infermieristico, che già risulta notevolmente inferiore alla media dell'UE (5,8 infermieri per 1.000 abitanti contro gli 8,5 dell'UE) e che in media a livello italiano è diminuito del 4% nello stesso periodo. Tutto questo è accaduto mentre è aumentata la spesa diretta delle famiglie: nel 2017 le risorse pubbliche hanno coperto il 74% della spesa complessiva (152,8 miliardi), mentre la spesa diretta delle famiglie il restante 26% (circa 39 miliardi, di cui 35,9 direttamente pagati dalle famiglie e 3,7 attraverso assicurazioni private). Rapidamente e congiunturalmente il decreto Cura Italia e più compiutamente il decreto Rilancio hanno previsto misure specifiche dedicate al settore sanitario.