Mercoledì 15 gennaio, tribunale penale di Bari. Quando l’interprete della lingua dei segni che gli traduceva le parole di giudici e avvocato gli ha spiegato che il processo veniva aggiornato al 13 marzo, Sofyane Bourezga, tunisino 44enne, in carcere a Bari dal 7 ottobre 2024, nella gabbia di vetro degli imputati, ha cominciato a spogliarsi. Sfilatasi la maglietta, è rimasto a torso nudo emettendo gemiti nel tentativo di pronunciare parole che non potevano uscirgli dalla bocca, dato che è sordomuto. Dopo la sua protesta, grazie all’intervento del suo difensore, l’avvocato Filippo Castellaneta (vicepresidente della Camera penale di Bari), che è riuscito a riportarlo alla ragione, la Corte ha deciso di anticipare la prossima udienza, fissandola per il prossimo 13 febbraio.

Quello a carico di Sofyane, arrestato la sera del 7 ottobre 2024 nella piazza antistante la stazione ferroviaria di Bari con le accuse di rapina e lesioni ai danni del suo connazionale Kemal Mohammed Balala, è un processo che aveva già subito un primo rinvio nell’udienza svoltasi in dicembre. In quella occasione la Corte aveva stabilito un’altra data disponendo che per la successiva udienza fossero individuati non solo un interprete della lista dei segni, ma anche uno dall’arabo in quanto la parte offesa sosteneva di non comprendere l’italiano.

Sofyane la sera del 7 ottobre, è la sua versione riportata negli atti, avrebbe chiesto a un italiano tre euro per comprare qualcosa da mangiare, ma questo non voleva darglieli, per cui «ne scaturiva una lite per sedare la quale interveniva un tunisino, a lui noto, per allontanarlo dall’italiano. Mentre l’italiano si allontanava, iniziava una colluttazione con Balala che lo avrebbe ferito e per quello lui gli avrebbe morso l’orecchio sinistro». Balala invece sostiene che Sofyane lo avrebbe minacciato con un coltello da cucina, di cui si sarebbe disfatto prima dell’arrivo dei poliziotti che eseguivano l’arresto in flagranza di reato.

Senza fissa dimora, in Italia da quattro anni, Sofyane si sostentava chiedendo l’elemosina e con piccoli lavoretti che gli chiedevano di eseguire alcune persone che lo aiutavano. Dice di non aver mai rubato e che quella sera non aveva un coltello. Affetto da ipocusia dalla nascita, per cause post operatorie di un intervento cardiochirurgico, non potrebbe sforzarsi e ancora meno alterarsi perché farlo gli provoca forti dolori al petto. Ma è la sua condizione di sordomuto che complica ancor più le cose e non solo durante la celebrazione del processo.

«Difendere un’imputato sordomuto è ancor più complicato perché si complica la comunicazione tra avvocato e assistito», dice l’avvocato Castellaneta. «Il collegio giudicante ha nominato l’interprete dei segni per consentire la partecipazione consapevole del presunto reo al processo», prosegue, «ma i colloqui in carcere per la difesa sono difficoltosi per ovvi motivi. Spero che il garante delle persone detenute Piero Rossi possa individuare una figura di interprete per la difesa. Nel corso dell’istruttoria - aggiunge il legale - è emerso che gli agenti arrivati sul posto hanno ascoltato solo uno dei due contendenti e non l’altro (sordomuto) e hanno creduto alla versione del primo arrestando il secondo che non riusciva ad esprimersi. Spero che il processo chiarisca che si è trattato di una lite e non di una rapina».

Ma mercoledì 15, per il legale pugliese la giornata non è stata delle più semplici. E in un altro processo, da celebrarsi a Taranto, quello che gli è accaduto, lo ha denunciato in un post sul suo profilo social: «Nel cortile. Un tribunale per i minorenni in Italia. L’udienza penale è fissata alle 12,30 e il tribunale sta celebrando altra udienza. “Avvocato, deve aspettare”, bene dico e chiedo “dove?”. Risposta: “qui nel cortile...”. Bene. Non batto ciglio. Non è neanche brutto il luogo e il meteo è ottimo... Ma mi chiedo: perché noi avvocati dobbiamo sempre essere tenuti “fuori” e non “dentro l’apparato giudiziario? Perché nel famigerato Pst siamo indicati come “esterni” al sistema? Eppure facciamo parte del sistema giudiziario a pieno titolo e il diritto di difesa è tutelato dalla Costituzione. E quando siamo “fuori” o siamo “esterni” il sistema non lo dice a noi, abituati a ben altre vicissitudini, ma lo dice a quella persona, cittadino, essere umano, che noi umilmente ma con coraggio difendiamo e rappresentiamo».