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Sono trentasei. Non proprio pochissimi, rispetto al “bacino” in questione: trentasei magistrati per i quali l’abrogazione dell’abuso d’ufficio ha già prodotto la decadenza di un’accusa rivolta contro di loro. Il fatto non è più previsto come reato. Non si procede. Giudizio, fascicolo, o anche solo indagini preliminari, archiviati.
Ne avevamo già parlato. Nel frattempo la statistica corre, e non è insignificante. Le toghe ordinarie in servizio sono poco meno di 9.000. Se in così poche settimane abbiamo già 36 casi in cui il giudice di quel procedimento ha dovuto prendere atto della modifica normativa, verificare che il reato contestato al proprio collega è scomparso dal codice, e ha così dovuto dichiarare archiviato il fascicolo, vuol dire che di quel reato, dell’ormai estinto articolo 323 del codice penale, era accusato lo 0,4 per cento dei magistrati italiani. Una quota non piccola.
E poi, basta riflettere sui giorni lavorativi trascorsi dall’entrata in vigore della modifica voluta da Carlo Nordio: dal 25 agosto a oggi parliamo di una cinquantina di giorni scarsi. Il dato dei 36 giudici (e pm) prosciolti è aggiornato a una settimana fa, quindi siamo a una media di quasi un giudice o un pm al giorno salvato da Nordio. Graziato dalla tanto vituperata legge del guardasigilli. Beneficiato dalla riforma penale che ha l’abrogazione dell’abuso d’ufficio quale norma simbolo.
E proprio perché corredata dalla soppressione del 323, quella riforma era stata contestata dall’Anm, dalle correnti, dai singoli giudici, soprattutto dai singoli pm. Dicevano che avrebbe addirittura aiutato la mafia – a dispetto delle ormai arcinote, fallimentari statistiche che, sull’abuso d’ufficio, raccontavano tutt’altro. Tanti magistrati in servizio nelle Procure italiane, e anche tanti vertici di quelle Procure, hanno sostenuto che l’abuso d’ufficio era un reato spia, per il quale spesso si procedeva fino a scovare cose più grosse, i corrotti. E poi – secondo la dottrina inaugurata da Giuseppe Pignatone con “Mafia capitale”, e poi sbriciolata, a dire il vero, proprio dall’esito di quella vicenda giudiziaria – la corruzione sarebbe il nuovo abito dietro cui si nasconderebbero le mafie più spietate.
Ripetiamo: sono ricostruzioni smentite dai dati, ma con le quali, per mesi, Nordio è stato impallinato, additato come il ministro che, nel cancellare l’abuso d’ufficio, impediva il perseguimento dei peggiori criminali. Ora scopriamo che Nordio impedisce il perseguimento dei suoi ex colleghi. Cioè dei magistrati accusati di abuso d’ufficio appunto, finiti per questo sotto procedimento penale, e ora archiviati, liberi da ogni accusa.
Sarà facile ironizzare sul paradosso per cui Nordio è un ex pm che ha agito da infiltrato professionale, si è finto nemico degli ex colleghi per approntargli il salvagente. Ironia facile e a portata di mano. Ma inevitabile, non ce ne vorrete.
Dopo tante contumelie “togate” piovute sul guardasigilli, è il minimo.
Naturalmente il Dubbio non ha interesse a fare l’elenco completo: in un precedente articolo firmato dal nostro Giovanni Jacobazzi, avevamo segnalato qualche caso eclatante di magistrati per i quali, in virtù dell’archiviazione penale determinata dall’addio all’abuso d’ufficio, era decaduto anche il connesso procedimento disciplinare innanzi al Csm. Ci fermiamo lì: se un reato non esiste, non c’è materia del contendere. Quella persona, magistrato, politico, operaio, impiegato, professore universitario o capitano d’industria che sia è un innocente, punto. I magistrati sono soggetti soltanto alla legge, ma alla legge sono soggetti, di sicuro, anche tutti gli altri cittadini.
Se vale per tutti, se vale per le toghe – e certamente il discorso, per le toghe, vale eccome – allora però, permetteteci, il discorso vale pure, per esempio, per la governatrice umbra Donatella Tesei. Impallinata, invece, dagli avversari politici, per esempio dai consiglieri dem della sua Regione che le hanno intimato subito di “riferire in Aula”. E no: Tesei ora può presentarsi senza fardelli, ai propri elettori, e chiedere di essere riconfermata.
Va detto che qualcuno è stato meno scrupoloso del Dubbio, e ha diffuso subito la notizia sull’archiviazione di cui Tesei ha beneficiato in virtù dell’addio all’abuso d’ufficio. Chiunque sia stato – che si tratti di una persona in servizio presso la Procura che procedeva contro Tesei, quella di Perugia, o magari di qualcuno che lavora presso le forze di polizia giudiziaria titolari dell’investigazione sul caso –, di sicuro teneva a far sapere che Nordio, con la sua riforma, salvava i politici cattivoni, per di più della sua stessa parte, il centrodestra. E no, cari signori: Nordio salva pure i magistrati. Siamo pari, se volete metterla così.
Ma non ha senso metterla così, naturalmente. E non ha senso neppure cavarsela col discorso che almeno una bella fetta di quei 36 magistrati accusati di abuso d’ufficio e “archiviati” in poco più di due mesi era sotto procedimento penale in virtù di un banale esposto di parte, presentato cioè da qualche cittadino ritenutosi danneggiato da un certo giudice o da qualche indagato, imputato, condannato o ex imputato assolto che si era sentito vittima di una persecuzione, da parte di un pm o di un giudice penale.
Non ha molto senso, minimizzare il dato delle 36 toghe salvate da Nordio, non foss’altro perché, tanto per dire, anche Tesei era accusata di abuso d’ufficio in virtù di un esposto-querela. Capita, vale per tutti. Presunta innocente era Tesei, presunti innocenti, e magari solo insidiati da qualche condannato, erano pure i magistrati. Ora, altro che presunti: tutti innocenti, toghe e politici. La legge è uguale per tutti. Anche quando viene abrogata.