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Nell’era frenetica della corsa a una più sofisticata digitalizzazione, il telefono cellulare diventa la scatola nera della vita di ognuno, assumendo il ruolo di geloso custode della sfera personale, talvolta diventando mezzo attraverso il quale sostituire le relazioni interpersonali, soppiantandole con un semplice messaggio.
Già la Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 170/ 2023, inquadrava il concetto di “corrispondenza” nel più ampio genus della species di “comunicazione di pensiero tra due o più persone, attuata in modo diverso dalla conversazione in presenza”, concetto tutelato dall’art. 15 Cost., il quale assicura a tutti i cittadini la segretezza “della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione”: posta elettronica, sms e messaggi inviati tramite app come WhatsApp “rientrano a pieno titolo nella sfera di protezione dell’art. 15 Cost., apparendo del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi”, ove la riservatezza è assicurata dal dispositivo, accessibile solo al soggetto che abbia la disponibilità dello stesso, normalmente protetto anch’esso da codici di accesso, chiavi virtuali, ID o altri meccanismi di identificazione.
La III Sezione della Cassazione aveva rimesso alle Sezioni Unite le questioni riguardanti la disciplina applicabile per l’acquisizione di chat criptate dall’estero (Sky- ECC) e la necessità di una verifica di legittimità di tale acquisizione da parte dell’Autorità giurisdizionale italiana.
Come ricordato nell’ordinanza n. 47798 del 30 novembre 2023, le questioni riguardanti la piattaforma Sky- ECC originavano dall’operazione congiunta della polizia francese, belga e olandese che nel 2021 aveva condotto ad accedere e decriptare le chat di oltre 70.000 utenti provenienti da diversi paesi. In particolare la Corte – come già espresso in queste pagine da chi scrive – aveva osservato come da un lato vi sono molteplici pronunce che legittimano l’acquisizione delle chat criptate ai sensi dell’art. 234 bis c. p. p, delineando una distinzione tra le intercettazioni, da un lato, e le attività di acquisizione e decifrazione di dati comunicativi dall’altro.
Il suddetto orientamento, infatti, distingueva tra l’operazione di captazione del messaggio cifrato in transito verso il destinatario e le operazioni di acquisizione e decriptazione del contenuto, ritenendo applicabile solo al primo caso la disciplina delle intercettazioni, in quanto inquadrabili come flussi di comunicazioni ex art. 266 bis c. p. p.. I messaggi ormai inviati e ricevuti, pertanto, rappresenterebbero una mera documentazione a sostegno di tali flussi comunicativi, utilizzabili come prova solo quando vi sia la disponibilità della chiave crittografica che consenta di decifrarne il contenuto.
Sulla base di questa distinzione tra dati in itinere e dati cristallizzati sulla memoria di un dispositivo, la giurisprudenza maggioritaria riteneva possibile l’acquisizione di questi ultimi tramite un Ordine Europeo d’Indagine, attivato dal Pubblico ministero. L’art. 234 bis c. p. p. costituirebbe la norma interna che attribuisce il potere necessario per procedere con l’OIE, utilizzato solo qualora i medesimi atti di indagine richiesti “avrebbero potuto essere emessi in un caso interno analogo”.
Sulla base di quanto argomentato, la domanda che attanaglia gli operatori del settore è dunque la seguente: quale meccanismo s’innesta quando il contenuto degli smartphone finisce nella diretta disponibilità degli inquirenti; ma soprattutto, qual è il confine che non può essere superato dall’Ufficio di Procura, soprattutto quando ad incrociarsi sono le giurisdizioni di Paesi differenti.
La I penale della Cassazione, con sentenza n. 13535 del 3 aprile u. s. chiarisce le modalità di acquisizione di chat all’estero; si legge nella sentenza “che le Sezioni unite hanno superato il principio affermato dalla giurisprudenza maggioritaria in forza del quale la messaggistica oggetto di esame può essere sempre acquisita nel procedimento ai sensi dell’art. 234- bis cod. proc. pen., alla stregua di dati informativi di natura documentale conservati all’estero, per approdare alla diversa conclusione che l’acquisizione e utilizzazione dei messaggi in questione è sottoposta a regole, limiti e garanzie diverse che dipendono dalle modalità con cui l’autorità estera ha, a sua volta, acquisito i dati conservati nel server”.
La Corte di Cassazione deduce che le Sezioni Unite hanno sconfessato la giurisprudenza maggioritaria in forza della quale la messaggistica può essere sempre acquisita nel procedimento, ex art. 234- bis c. p. p., alla stregua di dati informativi di natura documentale conservati all’estero, per approdare alla diversa conclusione che l’acquisizione e uso dei messaggi estrapolati è sottoposta a regole e garanzie diverse che dipendono dalle modalità con cui l’Autorità estera ha – a sua volta – acquisito i dati. In particolare “se ciò è avvenuto mediante captazione, condotta in tempo reale, di un flusso di comunicazioni in atto si è realizzata attività di intercettazione in procedimento separato con la conseguenza che, pur potendo essere richieste dal pubblico ministero italiano tramite ordine di indagine europeo, trova applicazione l’art. 270 cod. proc. pen. Spetta, comunque, al giudice dello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine, la competenza a valutare il rispetto dei diritti fondamentali, del diritto di difesa e della garanzia di un equo processo“.
Qualora, invece, “fossero ottenute da autorità giudiziaria estera trascrizioni di comunicazioni già avvenute e conservate nella memoria dei supporti utilizzati dal dialoganti, allora i relativi dati sarebbero da considerare documenti, acquisibili ai sensi dell’art. 238 cod. proc. Pen.”.
Secondo la Suprema Corte, il Tribunale del Riesame ha – erroneamente – ritenuto ininfluente accertare le modalità con le quali l’Autorità estera aveva acquisito le conversazioni presenti nel server e poi trasmesse, in esecuzione dell’ordine europeo d’indagine, al Pm richiedente.
Tale accertamento invece, a parere di chi scrive, doveva invece essere espletato poiché strettamente funzionale a stabilire le regole di acquisizione della messaggistica nel procedimento e, ça va sans dire, delineare i limiti della sua inutilizzabilità ai fini della decisione. Non a caso, proprio su queste pagine chi scrive aveva commentato come la Corte europea dei diritti dell’uomo non ebbe esitazioni nel ricondurre nell’alveo della “corrispondenza” tutelata dall’art. 8 Conv. e. d. u. anche i messaggi già scambiati e il suo contenitore. La Cassazione ha dunque imposto l’annullamento dell’ordinanza che era stata impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Bari, il quale dovrà colmare le lacune motivazionali.
Solo l’intervento del Legislatore può porre rimedio ai conflitti giurisprudenziali: la proposta di modifica n. 1.100 al DDL 809 a firma del senatore Rastrelli sul tracciato già abbozzato dal senatore Zanettin introdurrebbe l’istituzione di un meccanismo rafforzato, in seno al Codice di Procedura Penale e più in particolare con l’introduzione dell’art. 254 ter, per il quale il sequestro per l’appunto del “contenitore” di messaggistica, finalizzato all’estrazione delle chat ivi contenute, viene disposto dal Gip su richiesta del Pubblico ministero se “necessario per la prosecuzione delle indagini”.