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IMAGOECONOMICA
C’è stata una tentazione. Il ritorno, per un momento, all’idea di partenza, sulla separazione delle carriere: l’impalcatura non si tocca ma singoli punti possono cambiare, o essere aggiunti, in Parlamento. È l’intesa che aveva sigillato il ddl Nordio lo scorso 29 maggio.
Cioè al termine del Consiglio dei ministri che aveva varato la riforma del guardasigilli. L’idea aveva resistito per un po’. Fino allo scorso 29 ottobre, quando Nordio, senza troppi giri di parole, ha convocato le prime linee del centrodestra sulla giustizia e ha detto: sulle carriere separate cerchiamo di evitare emendamenti di parte e di partito, se proprio si pensa di modificare il testo lo si faccia solo in modo unitario. Non aveva posto un veto esplicito su variazioni in corso d’opera, ma di fatto con quel discorso ha dissuaso gli interlocutori – i capigruppo di tutte le forze di maggioranza insieme ai capidelegazione nelle commissioni parlamentari – dal compiere mosse che potessero rallentare il cammino del ddl.
La strada era stata tracciata quel pomeriggio di fine ottobre: ma poi nei giorni scorsi, prima del via libera in commissione Giustizia, sembrava essersi riaperto uno spiraglio per inserire, nel testo sulle carriere separate, qualche emendamento direttamente in Aula, quando si procederà al voto, cioè a gennaio (il testo approderà nell’emiciclo di Montecitorio lunedì prossimo ma solo per la discussione generale). Sembrava esserci di nuovo una finestra per alcune modifiche, sostenute innanzitutto da Forza Italia: la più gettonata riguarda l’articolo 3, e in particolare il passaggio in cui la riforma sancisce le modalità di elezione dei togati e dei laici che andranno a comporre i due futuri Csm (uno per i giudici, l’altro per i requirenti).
Gli azzurri vorrebbero correggere la previsione del sorteggio integrale per avvocati e professori di nomina parlamentare. Secondo i deputati berlusconiani della commissione Giustizia, che prima del fatidico “lodo Nordio” del 29 ottobre erano pronti a portare gli emendamenti al voto, i laici vanno eletti, non sorteggiati, anche perché – per citare i forzisti Pietro Pittalis ed Enrico Costa – non è proprio il massimo avere due futuri vicepresidenti dei Csm estratti a sorte, visto che entrambi sono i vice del Capo dello Stato (il quale, in base alla riforma, continuerà a presiedere entrambi gli organi di autogoverno).
L’obiezione ha una sua consistenza, anche se, diversamente da quanto previsto per i togati, che verranno sorteggiati fra tutti i magistrati, avvocati e i professori sarebbero inizialmente scelti dal Parlamento, in modo da formare un elenco di sorteggiabili dal quale poi estrarre a sorte, appunto, i neoconsiglieri. Ma ciò che conta è che quella modifica non si affaccerà neppure, nell’Aula della Camera, a gennaio, o almeno non sarà proposta su iniziativa della maggioranza. E il motivo è semplice: la linea non solo di Nordio ma anche, e soprattutto, di Giorgia Meloni è evitare di innalzare la tensione con la magistratura, in particolare sulle carriere separate, perché questa riforma è ormai l’unica di rango costituzionale che la premier potrà davvero portare a casa in questa legislatura. E il risultato va difeso ad ogni costo. Considerato che, per raggiungerlo, bisognerà vincere il referendum.
Vincere il referendum non sarà facile, Meloni lo sa. Soprattutto, non vuole che, durante la campagna per la consultazione confermativa, si possano regalare assist alla controparte – partiti d’opposizione e Anm – per accusare lei, la presidente del Consiglio, di “fare come Berlusconi”. Non tanto perché Meloni voglia distiguersi dal Cavaliere.
Il punto è che se la separazione delle carriere passasse, agli occhi dell’opinione pubblica, come una legnata vendicativa inflitta alle toghe, esattamente come avrebbe voluto fare Berlusconi, il rischio di perderlo, il referendum, aumenterebbe sul serio.
Ebbene: anche prevedere il sorteggio solo per i togati anziché per tutti i futuri consiglieri superiori, laici inclusi, rischierebbe di alimentare, sia ora che fra a un anno, quando presumibilmente entrerà nel vivo la campagna referendaria, la retorica di chi vuol vedere nella riforma Nordio una punizione per i magistrati. Quindi a gennaio, in Aula, gli emendamenti che qualche giorno fa sembravano poter essere rimessi in gioco, dopo essere stati messi in freezer a fine ottobre, in realtà non ci saranno. Né quello sul sorteggio né gli altri di cui si era parlato, come l’inserimento di una separazione anche dei concorsi per l’accesso in magistratura.
Qualunque iniziativa possa anche solo lontanamente passare come inutilmente afflittiva per le toghe dovrà essere evitata. Ora la parola d’ordine è vincere il referendum. Senza complicarsi la vita con dettagli inutili. Quanto potrà pesare, un indirizzo simile, fortemente voluto da Palazzo Chigi, sul resto della politica giudiziaria? Peserà, di sicuro. Se n’è avuta ulteriore prova dal question time di ieri al Senato, durante il quale si è presentato a rispondere alle interrogazioni parlamentari anche Carlo Nordio.
Basti citare per tutte la replica pronunciata in Aula dal guardasigilli a un tema posto dal capogruppo Giustizia di FI Pierantonio Zanettin, che chiedeva se e quando l’Esecutivo avrebbe adottato la legge sui “criteri di priorità” per l’esercizio dell’azione penale, come previsto dalla riforma Cartabia: «Governo e Parlamento lavorino insieme per un indirizzo unitario, anche in condivisione con il Csm», ha detto Nordio. Eppure si tratta di una provvedimento- cornice con cui definire criteri molto generali, all’interno dei quali poi, come prescrive la legge delega 134 del 2021, i singoli procuratori della Repubblica avranno il potere di emanare circolari per indicare, nello specifico, i reati da perseguire con maggiore urgenza nel loro distretto. I magistrati insomma diranno comunque l’ultima parola, ma il guardasigili è pronto a dar loro voce anche nella prima fase, che sarebbe di competenza esclusiva del legislatore.
L’Esecutivo, e in particolare il suo vertice, sono consapevoli che la separazione delle carriere è in se stessa un atto conflittuale nei confronti delle toghe. Ma sa anche che avanzare verso la vittoria con atti di forza non necessari può compromettere l’obiettivo. Sospeso a un referendum in cui il quesito formale riguarderà, sì, la conferma del divorzio giudici- pm appena approvato dal Parlamento (ieri Nordio ha di nuovo indicato l’estate prossima come deadline per il completamento dell’iter parlamentare).
Ma in realtà la domanda vera, sottesa a quel referendum, sarà un’altra, e cioè: a trentacinque anni da Mani pulite, ritenete che si debba metter fine all’egemonia della magistratura e restituire il primato e la dignità alla politica? E a fronte di questo, di uno snodo tanto epocale quanto controverso, sarebbe da ingenui pensare che la vittoria del sì sia già cosa fatta.