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Dopo dieci anni, la Corte di Appello di Catania ha annullato la confisca di un patrimonio di 45 milioni di euro appartenente all’imprenditore catanese Antonio Padovani, 72 anni, noto come il “re” dei video poker. Il provvedimento di confisca era stato originariamente emesso nel 2014 dal Tribunale di Caltanissetta, che aveva ritenuto Padovani in affari con famiglie mafiose di Gela e coinvolto in attività di scommesse illegali. Il patrimonio confiscato includeva partecipazioni in diverse società, immobili di pregio e una Ferrari, beni che la Direzione investigativa antimafia (Dia) aveva considerato sproporzionati rispetto alle sue risorse lecite.
Per il tribunale nisseno, allora presieduto da Antonio Balsamo, Padovani era considerato in affari con le famiglie mafiose di Gela, per conto delle quali aveva investito diversi milioni nelle attività delle scommesse, tanto da essere condannato per intestazione fittizia delle relative attività. All’epoca, Padovani era un concessionario pubblico per l’apertura di sale scommesse telematiche in tutto il territorio nazionale. La Guardia di Finanza, su ordine dei magistrati, aveva proceduto alla confisca a conclusione del procedimento di prevenzione, riformato in parte dalla corte d’Appello e confermato poi dalla Cassazione nel 2016. Per Padovani, condannato dal tribunale di Gela per intestazione fittizia di beni, era stata esclusa l’aggravante per finalità mafiosa.
Nonostante ciò i giudici delle Misure di prevenzione avevano individuato in lui un soggetto di rilievo strategico nella fornitura di macchine da gioco al gruppo criminale gelese guidato Giuseppe «Piddu» Madonia.
Già nel 2004 il tribunale di Catania aveva rigettato la richiesta di misure di prevenzioni a carico di Padovani ritenendo “insufficienti” gli elementi dimostrativi della sua pericolosità sociale. Gli avvocati Baldassare Lauria e Laura Ancona con il loro ricorso hanno chiesto e ottenuto la restituzione dei beni perché a Padovani è stata applicata una norma entrata in vigore nel 2008 con il “pacchetto sicurezza”.
Insomma è stata applicata una legge in forma retroattiva visto che l’intestazione fittizia dei beni sarebbe stata consumata fino al mese di ottobre del 2006. La sentenza della Corte di Appello di Catania non è stata impugnata ed è diventata definitiva.
Tuttavia, secondo la Corte di Appello di Catania, quella confisca non aveva alcuna “base legale” e risultava quindi illegittima.
Accogliendo le richieste di revocazione presentate dai suoi legali, gli avvocati Baldassare Lauria e Laura Ancona, i giudici hanno revocato ogni capo del provvedimento e disposto la restituzione dei beni. «Si tratta di un provvedimento che costituisce un precedente assoluto nel panorama giurisprudenziale italiano, emerso sulla scia della causa dei fratelli Cavallotti, introdotta alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e che ora vede il Governo Italiano sotto accusa per violazioni della Convenzione.
Nei confronti di Padovani non poteva, a nostro avviso, essere disposta la confisca, poiché le sue condotte all’epoca non avevano rilievo ai fini delle misure di prevenzione patrimoniali.
Infatti, solo nel 2008, con il primo pacchetto sicurezza, il reato di intestazione fittizia, per il quale era stato condannato, fu incluso tra le categorie di pericolosità sociale. In altre parole, la nuova disciplina normativa non poteva avere efficacia retroattiva», hanno dichiarato gli avvocati.
In effetti, la giurisprudenza italiana ha sempre considerato le misure di prevenzione estranee ai valori costituzionali che regolano la materia penale, un tema oggetto di vivaci discussioni accademiche. Attualmente, il caso Cavallotti è al vaglio della Corte Europea e potrebbe portare a una trasformazione radicale dell’intero codice antimafia.
«Naturalmente ora attiveremo le consequenziali procedure risarcitorie per il grave danno subito dai nostri clienti a causa del congelamento delle loro attività per oltre un decennio», hanno concluso gli avvocati.