La vicenda, «pur avendo destato clamore», è «stata circoscritta ad un unico episodio, prontamente analizzato ed in parte stigmatizzato, a cui è stato posto ritualmente rimedio». E «pur coinvolgendo la condotta dei magistrati, è infine risultato privo di ricadute sull’esercizio indipendente ed imparziale della funzione». È con queste parole che la prima Commissione del Csm ha proposto l’archiviazione – se ne discuterà giorno 25 – della pratica relativa alla sentenza scritta “in anticipo”, che giovedì era finita in Senato con un vivace botta e risposta tra il forzista Pierantonio Zanettin e il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari. I fatti risalgono al 15 febbraio 2024, quando il difensore di un imputato, a processo davanti alla seconda Sezione del Tribunale di Firenze, ha sfogliato il fascicolo del dibattimento, contenente gli atti e i verbali, con il permesso del pubblico ministero, trovando tra gli atti il dispositivo, datato 18 ottobre 2023, con il nome dell’imputato e la condanna a 5 anni e mezzo per maltrattamenti, privo della firma del presidente. Il tutto senza che fosse stata svolta alcuna requisitoria o discussione. Da qui la richiesta del difensore di astensione, poi accolta, da parte del collegio.

Il Csm ha accolto la versione rappresentata dalla presidente del Tribunale, secondo la quale «il dispositivo in questione non era firmato, era stato scritto per la precedente udienza dell’ottobre 2023 e poi inserito, per probabile distrazione, nel fascicolo di udienza come “bozza” o “appunto”. Certa, in ogni caso, è stata l’immediata richiesta di autorizzazione all’astensione da parte del Collegio giudicante, così come tempestivi e puntuali gli approfondimenti e le comunicazioni disposti dalla presidente del Tribunale - si legge nella proposta di delibera -. Nonostante lo “strepitus” immediato generato dall’accaduto appare, inoltre, evidente come non vi sia traccia di compromissione alcuna dei rapporti tra la magistratura e l’avvocatura locali - né in termini generali né con riferimento alla specifica attività dei componenti del collegio penale - che possa pregiudicare, anche in via prognostica, l’esercizio indipendente ed imparziale della funzione giudiziaria». Le stesse argomentazioni usate in aula da Ostellari, che avevano fatto infuriare Zanettin: «Se abbiamo dei dubbi che questo sia un illecito disciplinare, allora non so quale possa essere un illecito disciplinare. È del tutto evidente che qualcuno ha scritto la sentenza prima ancora di ascoltare la requisitoria del pubblico ministero e la difesa. Vale il principio che abbiamo declamato tante volte: la giustizia non deve solo essere imparziale, ma anche apparire imparziale».

Dalle testimonianze raccolte dal Csm, però, emerge anche un altro fatto: ad essere stigmatizzato dal Tribunale è stato proprio il comportamento dell’avvocato, che non avrebbe dovuto controllare il fascicolo. Tecnicamente, infatti, non trattandosi di un atto del fascicolo ma di una nota privata, non c’era diritto d’accesso alla stessa. E il pm non avrebbe potuto autorizzare la consultazione, non avendo alcun potere su quel fascicolo. Proprio per tale motivo, diverse settimane dopo, la Camera penale di Firenze proclamò tre giorni di astensione. La presidente del Tribunale, infatti, inviò al Coa di Firenze una relazione a firma della presidente del collegio, leggendo la quale «non risultano violazioni a carico né della presidente né del collegio giudicante, mentre non altrettanto sembra potersi ritenere avuto riguardo alla condotta dell’avvocato, che ha visionato e fotografato il contenuto degli appunti inseriti nel fascicolo cartaceo, lasciato momentaneamente sullo scranno nell’imminenza dell’udienza, assenti i cancellieri ed i giudice, e quindi senza autorizzazione», con l’inciso «il pubblico ministero, non essendo titolare del fascicolo, certamente non era abilitato a esprimersi al riguardo».

Nel corso di una riunione del Coa, presieduto da Sergio Paparo, era stata però rilevata «la correttezza del comportamento tenuto dal difensore», evidenziando come invece fosse «un dato di fatto che all’interno del fascicolo processuale, nella vicenda oggetto della segnalazione, fosse presente un dispositivo di sentenza, datato 18 ottobre 2023, redatto non in forma di mero appunto», una vicenda «che desta comprensibili perplessità e preoccupazioni circa il rispetto sostanziale e non meramente formale del ruolo essenziale della difesa nel processo penale». Sul punto era intervenuta anche la Giunta toscana dell’Associazione nazionale magistrati, che auspicava non venisse meno «lo spirito di continua collaborazione nel rigoroso rispetto dei singoli ruoli che hanno connotato nel tempo la magistratura e l’avvocatura del distretto».

Il clima tra le parti, nonostante la vicenda, è rimasto sereno, da qui la scelta della prima Commissione di non chiedere il trasferimento per incompatibilità, non essendo emersa la presenza «del requisito della obiettiva incompatibilità, da verificare alla luce non solo della mera constatazione delle conseguenze prodottesi sul piano dell’immagine esterna dell’interessato, dovendo anche evidenziare come e quali di queste siano suscettibili di pregiudicare, anche in via prognostica, l’esercizio imparziale delle funzioni giurisdizionali» e del requisito «della “causa indipendente da colpa”, che significa ancorare la possibilità di trasferimento a situazioni oggettive, se del caso anche riconducibili a condotte del magistrato interessato, ma comunque al di fuori di ogni giudizio di “riprovevolezza” delle stesse». A commentare il caso, in attesa delle decisioni sul piano disciplinare, è proprio Zanettin: «Siamo alle solite. È sempre così, non è cambiato niente. Il Csm, anche stavolta, va verso l’archiviazione. Si è trattato di una mera “distrazione”. Avevo visto giusto quando giovedì scorso, al Senato, ascoltando la risposta del governo, avevo colto una formula vagamente salomonica ed evasiva. Sono pronto a scommettere che anche l’azione disciplinare andrà archiviata. Ma così non va bene».