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IMAGOECONOMICA
Tecnicamente nessuno avrebbe dovuto o potuto saperne nulla. Perché l’indagine su Donatella Tesei, governatrice dell’Umbria in corsa per un nuovo mandato, era nata su impulso di un esposto anonimo. Il che vuol dire che non c’era nessuno da informare della richiesta di archiviazione e, dunque, nessuna possibile fonte alternativa a quelle ufficiali. La richiesta di archiviazione era dovuta, data l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, capo d’accusa che evidentemente, da agosto a fine ottobre, nessuno ha trovato il modo di riqualificare in altro reato.
Però, a pochi giorni dal voto, la notizia è diventata di dominio pubblico, tirata fuori dai giornali che - questa l’unica alternativa - avrebbero potuto saperlo solo da fonti autorizzate a conoscere quella notizia. E dal momento che Tesei, come lei stessa ha scritto sui social, lo ha scoperto dai giornali, è difficile dare la colpa a lei o al suo avvocato, magari per un cervellotico gioco vittimistico in ottica elettorale. Rimangono in gioco allora soltanto la procura di Perugia, coi suoi magistrati, il suo personale e la sua polizia giudiziaria, e l’ufficio del gip, con le varie figure che lo abitano.
Un indizio del fatto che le informazioni siano uscite da qualcuno che orbita attorno al Palazzo di Giustizia viene sempre dalla stampa. Perché oggi, sui giornali, era possibile leggere i dettagli di un’inchiesta morta ancor prima di vedere la luce e che la luce l’ha vista lo stesso, a ridosso del voto. Con il conseguente schieramento di forze, praticamente immediato, di chi ha preso la vicenda ad esempio per ribadire quanto pericolosa sia stata la scelta del governo di abolire l’abuso d’ufficio, senza il quale non sarà più possibile punire condotte come quella di Tesei. Condotte ancora tutte da accertare, ma questo è (come sempre) secondario.
Com’è secondario pure che le indagini fin lì condotte avevano dimostrato - lo leggiamo sempre sui giornali - che i magistrati non avevano trovato nessuna irregolarità nell’assegnazione dei fondi, pur rimanendo il sospetto, ancora da approfondire, che Tesei e la sua assessora Paola Agabiti abbiano favorito i propri congiunti con i fondi per la filiera del tartufo.
Proprio la morte prematura dell’inchiesta diventa dunque l’assist perfetto per i giochi preferiti di una certa parte dei protagonisti della vita pubblica italiana: il giustizialismo a corrente alternata e l’allarmismo. Eppure, a quanto spiega l’avvocato Nicola Di Mario, difensore di Agabiti, l’inchiesta molto probabilmente sarebbe finita comunque nel nulla, perché «infondata sul piano giuridico».
La delibera di Giunta numero 820, datata primo settembre 2021, infatti, «non integrava alcuna strumentalizzazione della funzione da parte dell’assessore Agabiti, in quanto si limitava a prendere atto della allocazione di nuove risorse finanziarie a favore del Piano sviluppo rurale della Regione Umbria in ossequio alle determinazioni assunte dal presidente del Consiglio dei Ministri in data 17 giugno 2021 e nel rispetto dei contenuti normativi di cui alla legge 23 luglio 2021». Un provvedimento «a contenuto recettizio e vincolato», che, dunque, neppure «sul piano teorico» potrebbe far configurare «un esercizio deviato delle attribuzioni connesse alla carica istituzionale».
Stesso discorso per la delibera 849 del 15 settembre del 2021, che «non ha assegnato risorse patrimoniali ad alcun soggetto beneficiario essendosi limitato ad individuare le misure di intervento ad efficacia reale e non personale. Ciò significa che la delibera della Giunta, riguardando un tema di interesse generale (economia dell’Ente ed estensione del programma di sviluppo rurale per l’Umbria con riguardo alle filiere produttive di olio, luppolo e tartufo) risultava adottata in modo del tutto legittimo».
Ma per tutti siamo già al “tartufogate”, anche se non è stato effettuato alcun accertamento in capo a nessuno e non scopriremo mai quale delle due versioni di questa vicenda sia quella corretta. E alla luce di ciò, rendere pubblica l’inchiesta ha il solo effetto di gettare ombre, senza che nulla possa essere dimostrato.
Rimane dunque un dato: la fuga di notizie, l’ennesima, che non può dunque che apparire strumentale. In chiave elettorale, da un lato, ma anche nella guerra ormai aperta tra toghe e politica, con le prime pronte a sventolare i rischi derivanti dalle scelte dei secondi. E in un periodo di presunte indebite intrusioni nei server delle procure e presunte talpe, non è peregrino chiedersi come sia possibile che, ancora una volta, notizie coperte da segreto finiscano sui giornali. E come sia possibile che, ancora una volta, accada con la procura di Perugia, vittima di una quantità significativa di rivelazioni di segreto.
Di esempi ce ne sono tanti: dal caso Meredith, al troncone perugino sul mostro di Firenze, passando per l’inchiesta su Bertolaso e su Banca Etruria, Sanitopoli, caso Saurez, Palamara e Loggia Ungheria. Per queste vicende non è mai stato trovato un colpevole. Tranne che per l’ultima, ovvero la consegna alla stampa della richiesta di archiviazione sulla presunta nuova P2 denominata Ungheria, per la quale ha pagato l’ex funzionario Raffaele Guadagno, che ha patteggiato, pur dichiarandosi innocente, per «tutelare la propria salute», come ha spiegato. Ma la sua è una storia piena di buchi. A partire dal fatto che se a Guadagno è stato contestato l’invio di quel documento ad un giornalista del Fatto Quotidiano, non risulta un’analoga contestazione per quanto riguarda la pubblicazione, negli stessi giorni, di articoli simili su Repubblica e Corriere.
Nessuno ha disposto intercettazioni, nessuno ha sentito gli altri giornalisti coinvolti. E nessuno, a volerla dire tutta, ha mai individuato la “manina” che inviò agli stessi giornali gli atti sull’Hotel Champagne e sui guai di Luca Palamara, usciti sempre dalla procura di Perugia, ma non per mano di Guadagno, che anzi ricevette quei documenti sul proprio cellulare da una giornalista locale. La storia è identica per tutti gli altri casi. E una volta “fatto fuori” Guadagno, è legittimo sospettare che le manine siano davvero tante. E tutte ancora in attività.