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LO SCONTRO
Per il fondatore, proprietario del simbolo M5S, la regola dei due mandati è intoccabile. Ma Conte smentisce la notizia dello scontro
Non bastava la fine traumatica del campo largo. Ad agitare i sonni di Giuseppe Conte ci si metterebbe anche Beppe Grillo. Ma il condizionale in questo caso è d’obbligo perché la giornata di ieri è stata un giallo per il Movimento 5 Stelle. A metà pomeriggio, infatti, le agenzie battono una notizia clamorosa: il fondatore e garante del partito sarebbe pronto a lasciare il M5S in caso di ritocco alla regola del vincolo dei due mandati. «Se deroghi al secondo mandato dovrai fare a meno di me, lascio il Movimento 5 Stelle», avrebbe detto l’elevato all’avvocato nel corso di una telefonata infuocata. Un aut aut perentorio che fa tremare le stanze pentastellate e i progetti di Conte. Che da settimane cerca una mediazione con Grillo per salvare un pugno di deputati e senatori. Cinque al massimo, tre nella peggiore delle ipotesi: Roberto Fico, Alfonso Bonafede e Paola Taverna. Ma per il garante - fedele al vecchio adagio casaleggiano secondo cui basta una deroga per cancellare per sempre una regola - quel principio è intoccabile, resta «la luce» del Movimento «in questa tenebra incredibile». Perché fosse per il fondatore, teorizzatore della poltica come «servizio civile», nessuno dei parlamentari dovrebbe avere diritto a un “terzo giro”. Non solo, mentre Conte non vede l’ora di compilare le liste elettorali per liberarsi di truppe troppo indisciplinate e sostituirle con nomi più adatti al “nuovo corso”, Grillo pretenderebbe di selezionare i futuri candidati attraverso il “vecchio attrezzo” della parlamentarie. I tempi di Rousseau sono lontani, ma certe pratiche vanno rispettate, è il ragionamento del fondatore.
I parlamentari vicini al presidente del partito, già alle prese con le grane dell’isolamento politico in vista delle elezioni, non gradiscono l’entrata a gamba tesa del fondatore e cominciano a mugugnare. E nel giro di poco arriva, ufficiale, la smentita di Giuseppe Conte: «Tra me e Beppe Grillo non c’è stata nessuna telefonata ieri sera», dice l’avvocato. «Smentisco categoricamente tutte le indiscrezioni in merito a un suo aut aut su questioni interne al Movimento. Abbiamo di fronte una grande battaglia da combattere tutti insieme per il Paese, guardiamo uniti nella stessa direzione». Capitolo chiuso, dunque. Niente affatto. Perché il nodo andrà comunque sciolto in tempi brevissimi e la campagna elettorale incombe. Uno strappo con Grillo, in questo frangente, non sarebbe neanche lontanamente concepibile. Anche perché l’ex comico, si fa notare, continua a essere il proprietario del simbolo. Non e Grillo è mai stata sciolta infatti l’Associazione M5S, nata nel 2013 con sede a Genova, che costituiva la base giuridica del partito prima di essere sostituita dall’Associazione 2017 fondata da Luigi Di Maio e Davide Casaleggio. A spiegare il motivo di questa scelta è Enrico Maria Nadasi, commercialista di Grillo che all’AdnKronos dice: quell’Associazione «è proprietaria dei simboli originali del Movimento, gli unici. Sono i simboli che identificano il Movimento».
Senza l’ok dell’elevato non si può dunque nemmeno partecipare alle elezioni. E nemmeno ritoccare il logo, magari con l’aggiunta del nome del leader, come vorrebbe fare Giuseppe Conte. La trattativa andrà comunque avanti e l’ex premier proverà fino all’ultimo secondo utile a strappare una deroga almeno per pochissimi big. Complicato che ci riesca, ma l’avvocato non demorde.
E mentre lo scontro con l’ex comico indebolisce ulteriormente la leadership di Conte, i Gruppi parlamentari sono attraversati da nuovi scossoni. Dopo il passo indietro annunciato dal capogruppo alla Camera Davide Crippa a causa dei forti dissidi sulla linea politica, ieri a lasciare il direttivo di Montecitorio sono stati la vicepresidente vicaria Alessandra Carbonaro e i segretari d’Aula Nicola Provenza ed Elisa Tripodi. Certo, ormai la legislatura è agli sgoccioli e nessuno si straccerà le vesti per queste dimissioni dentro al Movimento, ma se l’ex capogruppo pensa di lasciare il partito in campagna elettorale non è un buon segnale per nessuno. «La riflessione se uscire dal partito è d’obbligo», dice Crippa. Ho deciso di dare le dimissioni di capogruppo alla Camera per il fatto che non condivido la scelta che è stata fatta e soprattutto le conseguenze, ovvero la rottura del patto progressista che non vedo molto lineare come prospettiva», è il ragionamento che ricalca la posizione di chi, dall’esterno, indica il Movimento come unico responsabile della crisi di governo e della rottura con i dem. Argomenti che da giorni Conte prova a smentire con forza. Ma se non è ancora riuscito a convincere chi è rimasto, sarà dura convincere gli elettori. Sempre che Grillo non decida di ritirare il simbolo prima del tempo.