«Noi stiamo solamente esercitando il controllo di legalità. Non c’è alcun accanimento nei confronti del comune di Milano». Dopo giorni di polemiche, amplificate anche da alcune inchieste giornalistiche su un importante quotidiano nazionale, arriva dunque la risposta da parte della Procura di Milano. Il tema: le indagini nei confronti di Palazzo Marino, che secondo i pm si starebbe rendendo responsabile di decine di abusi edilizi in città. La legge, sul punto, per la Procura sarebbe chiara, senza spazi per interpretazioni alternative: se si demolisce una casa di due piani per edificare, sugli stessi metri quadri di superficie lasciata libera, un grattacielo di ventidue piani, è necessario un permesso per costruire ex novo, e non una semplice “Scia” (Segnalazione certificata di inizio attività), come affermano invece gli uffici comunali dell’Urbanistica. Un’impostazione, questa della Procura, che ha avuto nelle scorse settimane anche un primo vaglio positivo da parte del gip, il quale ha accolto le richieste di sequestro ed è anche andato oltre le tesi dei pm, affermando la illegittimità degli atti adottati dal Comune.

Al momento, la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio per una decina di funzionari, con l’accusa, fra le altre, di falso ideologico. L’udienza preliminare è prevista per il prossimo 26 settembre.

La reazione del sindaco Beppe Sala è stata durissima: il primo cittadino è arrivato a evocare scenari foschi per la città, con la sostanziale paralisi del settore edilizio. Che il clima sia incandescente lo dimostra anche la decisione dell’amministrazione comunale di procedere in sede civile contro il giornalista del Fatto quotidiano Gianni Barbacetto, che in alcuni post sui propri canali social ha raccontato ciò che sta accadendo.

Il rapporto fra Comune di Milano e Procura del capoluogo lombardo, va detto, è sempre stato quanto mai altalenante. Ai tempi della giunta di Gabriele Albertini era così stretto che quando si trattava di effettuare una nomina in municipio il curriculum del prescelto veniva sottoposto al vaglio del procuratore Francesco Saverio Borreli. Era sufficiente che il soggetto fosse incappato suo malgrado in un’intercettazione con un indagato per essere escluso dall’incarico. Come se non bastasse Albertini aveva creato il gruppo “Alibabà", facendosi assegnare tre magistrati da Palazzo di Giustizia in modo da controllare, insieme ai funzionari comunali, la correttezza degli atti amministrativi, e prevenire eventuali fenomeni di corruzione. Una sorta di Anac ante litteram.

Altri tempi, ovviamente. La giunta Albertini era la prima dopo le macerie di Tangentopoli. Dopodiché si passò a quella che i commentatori definirono “moratoria” investigativa: per permettere di inaugurare per tempo i padiglioni di Expo 2015, la Procura di Milano indagò in punta di fioretto, con arresti chirurgici e non con le tradizionali retate che spediscono in prigione anche l'impiegato che ha fatto le fotocopie. Una “sensibilità istituzionale” che verrà sottolineata pubblicamente dall’allora premier Matteo Renzi. Dopo il periodo della “rigidità” e la cosiddetta “moratoria”, ecco il periodo dello “scontro”: per ironia della sorte nel mirino è finito un magistrato che, a differenza dei suoi predecessori, non ama le esternazioni sui media. Parliamo di Marcello Viola, che si è trovato sulla sua scrivania questi fascicoli, incardinati peraltro prima del suo arrivo, e che ora deve gestirli in un clima reso incandescente dagli interessi milionari in ballo, senza la classica solidarietà dell’Anm o “pratiche a tutela” aperte dal Csm. Come finirà è difficile saperlo.