Usare tutti gli strumenti a disposizione e occupare ogni spazio possibile: questa la strategia decisa sabato dal Comitato direttivo centrale di una compatta Associazione nazionale magistrati per contrastare il disegno di legge costituzionale su separazione delle carriere, sorteggio nei due Csm e Alta Corte disciplinare per le toghe ordinarie.

Fonti parlamentari ci dicono che sarebbe confermato l’inizio dell’iter di discussione alla Camera dei deputati, ma si chiarirà tutto nell’Ufficio di presidenza che dovrebbe tenersi in settimana. Intanto la magistratura associata non resta a guardare e si prepara alla maratona perché, come è noto, ci sarà prima un lungo iter parlamentare da seguire e poi molto probabilmente un referendum. E in tutto questo tempo, dal punto di vista di un’Anm assolutamente ostile alla riforma, occorre essere presenti in modi diversi. Innanzitutto con una o più giornate di astensione dall’attività giudiziaria, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui presunti pericoli della riforma.

Lo “sciopero”, o meglio gli scioperi si faranno, ma distribuiti nei mesi. E poi, come rilanciato inizialmente dalla corrente progressista “AreaDg”, la partecipazione alle iniziative di eventuali comitati referendari, istituiti innanzitutto con costituzionalisti e giuristi, in modo da sostenere il “No” a tutte e tre le modifiche costituzionali previste dal ddl Nordio.

Su quest’ultima proposta, sabato mattina era emersa all’inizio qualche perplessità da parte degli altri gruppi associativi: l’obiezione prevalente era che, essendo i referendum lontani dal venire, non avrebbe avuto senso mettere ora nero su bianco un progetto del genere. Ma poi, dopo alcune interlocuzioni tra i big delle correnti, si è capito che i comitati per il No non lavorano soltanto nelle settimane della campagna referendaria per occupare gli spazi istituzionali previsti per il dibattito, bensì svolgono un’attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica durante tutto l’itinerario di formazione di una legge. Ad esempio, sono già nati dei comitati per il No al premierato, come quello dell’Anpi.

Quindi si è presa consapevolezza che l’Anm potrebbe assumere un ruolo da protagonista, facendosi promotrice di un comitato aperto a tutte le forze politico-associative e sindacali che si riconoscono nella battaglia “per la difesa della Costituzione”, attraverso il contrasto alla riforma dell’ordinamento giudiziario, così come pensata dal ministro della Giustizia e dal governo in generale.

Le altre iniziative messe in campo puntano a rafforzare la comunicazione, «senza usare slogan» e non disturbando Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Licio Gelli, ha detto il leader dell’Anm Giuseppe Santalucia. Poi dibattiti sul territorio e una manifestazione nazionale. Il tutto intrecciando gli argomenti giuridici a quelli meramente politici: la logica della magistratura associata è insomma riassumibile nel motto “l’unione dialettica fa la forza”, sia dentro che fuori dal Parlamento, dove sicuramente gli esponenti del “sindacato” delle toghe saranno chiamati in audizione.

Il duplice obiettivo è quello di mettere in evidenza le presunte criticità tecniche della riforma ma anche far emergere le argomentazioni politiche sottese alla modifica costituzionale, che secondo l’Anm consisterebbero nella volontà di «ridurre se non eliminare del tutto il controllo della magistratura sull’attività politico-amministrativa».

Sulla mozione approvata nel fine settimana dell’Anm è arrivato il duro attacco dell’Unione Camere penali, promotrice della raccolta firme da cui, nel 2017, il lungo cammino della proposta di riforma ha avuto origine: «L’Associazione nazionale magistrati – scrive la giunta Ucpi guidata da Francesco Petrelli – lancia apertamente la propria sfida al Parlamento e sceglie la strada di una aperta politicizzazione della sua azione. Si potrebbe dire che il potere giudiziario abbia gettato la maschera, contrapponendosi apertamente a quello legislativo, se non fosse che è evidente a tutti da almeno trent’anni che nessuna riforma possa essere portata a termine in questo Paese senza il consenso della magistratura. Un potere che domina indisturbato il proscenio della nostra democrazia ben oltre le competenze e le funzioni che sono state attribuite dal Costituente alla magistratura».

Gli ha replicato Ciccio Zaccaro, segretario di “AreaDg”: l’Ucpi, dice, «si indigna per la mobilitazione della Anm per ristabilire la verità sulla inutile e anzi dannosa riforma della magistratura promossa dal governo. Non posso credere che l’avvocatura italiana si preoccupi di questo e non del fallimento della difesa dei non abbienti, delle pene spropositate per i reati di strada, per il disciplinare a carico del magistrato che preferisce mettere un cittadino ai domiciliari invece che in galera, per i tempi della giustizia civile che pare tornino ad allungarsi».

L’atmosfera tra avvocatura e magistratura è tesa, come non lo era da decenni. Come abbiamo potuto appurare frequentando i corridoi della cittadella giudiziaria di Piazzale Clodio, ma anche raccogliendo testimonianze al “parlamentino” Anm di sabato, tra i vari aspetti critici segnalati dalla magistratura sembra esserci proprio il senso di delusione e di sconforto nei confronti dei legali. Le toghe sostengono che l’avvocatura non riesce a capire che un pm separato sarebbe un danno per tutti, a partire dai difensori e dai diritti dei loro assistiti, e che questa riforma finirebbe per creare una figura di pubblico ministero completamente alienato dalla cultura delle garanzie e del giusto processo.

Il presidente Santalucia, comunque, rispondendo indirettamente anche al sostituto procuratore di Bologna Nicola Scalabrini, che aveva annunciato di non volere più partecipare ai dibattiti organizzati dai Coa, ha detto: «Non possiamo disertare i confronti pubblici». Anche nella mozione finale dell’Anm è ribadita la necessità di un confronto con l’avvocatura.

Santalucia ha poi accennato al percorso parallelo che potrebbe avere la riforma sull’avvocato in Costituzione, sollecitata da anni da tutte le rappresentanze forensi, Cnf in testa: «Non si illudano, gli avvocati, che mettendo la parola avvocato in Costituzione, in questo contesto, con questa riforma possano potenziare la loro essenziale funzione, che vive all’interno di una giurisdizione autonoma e indipendente, condizione necessaria anche per la loro indipendenza».