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Schiavitù sessuale e minacce. Una «spirale di violenza», fatta di manipolazioni, minacce e umiliazioni. E perfino un contratto di schiavitù sessuale.
È per questo motivo che ieri l’ex giudice Francesco Bellomo è finito ai domiciliari, con le accuse di maltrattamenti ai danni di tre borsiste e una ricercatrice – alle quali aveva imposto un dress code e stringenti regole – e per estorsione aggravata ai danni di un’altra corsista, tutte allieve della sua scuola di formazione giuridica, “Diritto e coscienza”.
Ma nell’ordinanza firmata dal gip di Bari Antonella Cafaglia ci sono anche le accuse di calunnia e minaccia nei confronti del premier Giuseppe Conte, all’epoca dei fatti vicepresidente del Consiglio della presidenza della giustizia amministrativa e presidente della commissione disciplinare chiamata a pronunciarsi su Bellomo.
Lo scandalo
L’ex consigliere di Stato, sospeso dal ruolo nel 2017, quando scoppiò lo scandalo del contratto imposto alle sue allieve, avrebbe avuto relazioni intime con tutte e quattro le sue vittime.
Relazioni basate sulla «manipolazione psicologica» per ottenere il loro «asservimento», limitando la «libertà» e «l’autodeterminazione» delle donne che avevano a che fare con lui, ridotte «in uno stato di prostrazione e soggezione psicologica».
Condizione che accettavano per «il concreto timore delle conseguenze sul piano personale e professionale», subendo così «una condotta di sistematica sopraffazione tale da rendere particolarmente doloroso il rapporto personale e professionale».
Il giudice parla di un vero e proprio «sistema Bellomo», che sfruttava le borse di studio istituite presso la propria scuola per un «adescamento delle ragazze da rendere vittime del proprio peculiare sistema di sopraffazione, fondato sulla concezione dell'agente superiore e sui corollari di «fedeltà, priorità e gerarchia».
Le vittime venivano «isolate» e allontanate dalle amicizie», per poi essere manipolate ( il gip parla addirittura di «indottrinamento» ), con successivo «controllo mentale, mediante l’espediente di bollare come sbagliate le opinioni espresse o le scelte compiute dalla vittima, in modo da innescare un meccanismo di dipendenza da sé».
L’ex giudice controllava - con la complicità del magistrato Davide Nalin - i loro social network, imponendo «la cancellazione di amicizie, di fotografie pubblicate» e «l’obbligo di immediata reperibilità».
E in caso di “errori” venivano «umiliate, offese e denigrate», ad esempio costringendole a mettersi in ginocchio.
«Venerdì sera, quando entro in stanza, ti metti in ginocchio e mi dici “ti chiedo perdono, non lo farò mai più” - scriveva in un sms ad una delle vittime - Non ha il significato della sottomissione, ma della solennità. Con le forme rituali».
E c’era anche un vero e proprio «contratto di schiavitù sessuale», come confidato da una delle ragazze alla sorella, che l’avrebbe portata a rinunciare alla borsa di studio pur essendo «terrorizzata dalla reazione», in quanto «non vogliono lasciarmi andare».
Sentita dagli inquirenti, la donna ha spiegato di vergognarsi delle foto che era stata «costretta a mettere», dicendo di essersi sentita «messa in vendita».
E i like su quelle foto portarono ad un nuovo sopruso da parte di Bellomo, che l’accusava di avere relazioni con altri uomini, definendola «scientificamente una prostituta».
Denigrazione delle vittime
Sgarri puniti con la pubblicazione dei dettagli intimi della borsista sulla rivista della scuola, che poi diventavano oggetto di un «concorso tra i corsisti lettori» : «chi avesse fornito la migliore spiegazione dei comportamenti della ragazza» avrebbe vinto l'iscrizione gratuita al corso dell'anno successivo.
Ma non solo: le uscite serali delle ragazze dovevano essere autorizzate. «Questo significa avere a fianco un animale. Perché tu sei così scriveva ad una ragazza - La decisione di uscire ieri sera è l'ennesima riprova del tuo dna malato. Agisci come un selvaggio, ignorando le regole».
Bellomo pretendeva infatti «dedizione» e di essere trattato come «assoluta priorità».
Le ragazze dovevano sottostare al «divieto di avviare o mantenere relazioni intime con soggetti che non raggiungessero un determinato punteggio» attribuito da Bellomo e «il divieto di contrarre matrimonio a pena di decadenza automatica dalla borsa».
Ma soprattutto erano obbligate a seguire le sue indicazioni in fatto di abbigliamento, firmando un contratto che rappresentava la condizione per accedere ai benefici della borsa.
Il codice prevedeva uno stile “classico” per gli «eventi burocratici», uno stile “intermedio” per «corsi e convegni» ed “estremo” per «eventi mondani», ovvero «gonna molto corta», tacco 12 e «trucco calcato o intermedio».
Ma dovevano curare anche «gesti, conversazione, movimenti», per pubblicizzare l'immagine della scuola e della società.
Minacce a Conte
E di mezzo, nel 2017, ci è finito anche Conte, quando a capo della commissione disciplinare chiamata a giudicare il caso Bellomo finì davanti al Tribunale civile di Bari, insieme alla collega Concetta Plantamura, componente dello stesso organismo.
L’ex giudice li denunciò «falsamente» di aver esercitato «in modo strumentale e illegale il potere disciplinare», svolgendo «deliberatamente e sistematicamente» una «attività di oppressione» nei suoi confronti, «mossa da un palese intento persecutorio».
Ai due fece poi notificare un atto di citazione per danni, che secondo la procura di Bari rappresenterebbe un'implicita minaccia, «per turbarne l’attività nel procedimento disciplinare a suo caricoe impedire la loro partecipazione alla discussione finale».