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Marco Travaglio direttore del Fatto
Se non altro, con il titolo e l’iconografia roboanti, il Fatto Quotidiano di ieri ha messo in primo piano il “caso” delle misure di prevenzione antimafia. Di caso, si può parlare, non tanto per le battute pesanti apparse sul giornale di Marco Travaglio (Forza Italia storpiato in “Forza mafia”, la riforma presentata dagli azzurri liquidata come una “porcata”) ma perché è la prima volta che una proposta di revisione sul “diritto penale parallelo” creato con le norme del 2010-2011 (scritte e votate, per giunta, dal centrodestra dell’ultimo governo Berlusconi) hanno una pur minima possibilità di essere riviste.
Pietra dello scandalo è la proposta di legge firmata dal vicepresidente della commissione Giustizia di Montecitorio Pietro Pittalis, avvocato e deputato di FI, insieme con gli altri due rappresentanti berlusconiani nell’organismo, ossia il capodelegazione Tommaso Calderone e Annarita Patriarca, ai quali si associa un altrettanto autorevole parlamentare come Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera. Lo “scandaloso” testo degli azzurri subordina l’adozione delle misure patrimoniali antimafia più gravi, come i sequestri delle aziende, alla sussistenza di “indizi gravi, precisi e concordanti”.
Oggi basta un sospetto, corroborato dalla sproporzione tra entrate tracciabili dell’attività pregressa e patrimonio accumulato. Una presunzione di colpevolezza dagli esiti paradossali: l’attuale Codice antimafia, introdotto dal decreto legislativo 159 del 2011, consente di confiscare beni anche agli eredi di una persona defunta che era stata sospettata, senza mai subire condanne, di collusioni con le cosche. Forza Italia vuole invece ancorare la confisca alla condanna nel processo penale. Ora, chi da un processo penale esce assolto può essere comunque considerato pericoloso e vedersi spogliato dei propri beni, di imprenditore e privato cittadino.
Sembrerebbe un’iniziativa con scarse speranze di riuscita, a un primo sguardo. Alcuni precedenti non incoraggiano. Basti pensare alla legge sull’ergastolo ostativo, che l’attuale centrodestra ha approvato a inizio legislatura in una forma più restrittiva, per i condannati, rispetto al testo messo a punto dai 5 Stelle quando a Palazzo Chigi c’era Draghi. Eppure alcuni indizi, a proposito, lasciano intravedere spiragli. Primo: anche la Lega ha presentato una proposta di legge sulle misure di prevenzione, a prima firma del deputato Erik Pretto, rappresentante del Carroccio in commissione Antimafia. Non interviene certo nella direzione garantista indicata dagli azzurri, ma quanto meno punta a migliorare la selezione degli amministratori giudiziari e a preservare così anche chi lavora per le aziende sequestrate. Secondo: ieri, vista la prima pagina del Fatto Quotidiano, è intervenuto il principale esponente dell’ala rigorista, in ambito penale, del governo, il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro: ha dichiaro che «non c’è spazio per nessun arretramento sul fronte antimafia», ma anziché prendersela con i deputati di FI ha definito l’ipotesi come «il frutto di fantasiose interpretazioni giornalistiche più che di reali propositi di alcuni colleghi». Non ha insomma pregiudizialmente condannato l’iniziativa degli azzurri. E si è limitato a una difesa della «normativa speciale italiana per aggredire i patrimoni dei mafiosi».
Certo, ha detto che «nel solco di “follow the money”, manterremo ogni presidio e ogni normativa speciale che consente di aggredire anzitempo i patrimoni di mafiosi e collusi». Ma qui interviene il primo firmatario della proposta forzista, Pittalis, il quale osserva: «Noi non riduciamo di un millimetro l’asprezza delle misure patrimoniali nei confronti di mafiosi e collusi. Semplicemente, eliminiamo il meccanismo per cui si può procedere al sequestro e alla confisca di beni e aziende nei confronti di chi è uscito assolto da un processo penale».
In proposito, c’è un terzo “indizio” che lascia una qualche chance di successo alla riforma delle abnormità consentite dal codice antimafia: una delle più note vittime di tali abusi, l’imprenditore palermitano Pietro Cavallotti, potrebbe ottenere, di qui a pochi mesi, una clamorosa sentenza dalla Corte europea dei diritti dell’uomo proprio riguardo alla confisca inflitta ai suoi familiari per un’asserita (dai giudici della “prevenzione”) vicinanza alla mafia nonostante l’assoluzione definitiva dalle accuse di 416 bis ottenute nel processo penale.
Proprio Cavallotti, che per occuparsi delle vicende familiari ha maturato una competenza notevole in materia, interpellato dal Dubbio osserva: «La legge Rognoni-La Torre in origine prevedeva che il procedimento di prevenzione dovesse interrompersi nel momento in cui veniva avviato un parallelo processo penale, e che l’assoluzione nel processo determinava in automatico anche la decadenza del procedimento di prevenzione.
Dalla lettura del testo di FI, si ricava semplicemente che si intende consentire di impugnare le misure di prevenzione patrimoniali dinanzi al Tribunale del Riesame, mentre adesso si può avanzare un reclamo solo allo stesso giudice che ha emesso il sequestro. La proposta di Forza Italia istituisce il ricorso per Cassazione nel caso in cui il sequestro presenti motivazioni illogiche. E soprattutto, vincola le misure patrimoniali antimafia agli indizi “gravi, precisi e concordanti” che già consentono il sequestro preventivo nell’ambito di un procedimento penale, in base all’articolo 321 del codice di rito. Insomma», spiega l’imprenditore che ha scontato sulla propria pelle le follie del sistema, «si ricongiunge il binario parallelo della prevenzione a quello del processo penale. Forza Italia prevede anche che se gli indizi sono privi dei ricordati requisiti di gravità, si può ricorrere sì alla misura di prevenzione patrimoniale, ma nell’iniziale forma dell’affiancamento dell’imprenditore da parte di un amministratore giudiziario. Nel caso in cui l’imprenditore affiancato violi le prescrizioni, si passa al sequestro».
Sembra un ritorno del codice antimafia nell’alveo della Costituzione. «Da imprenditore assolto eppure privato, con la mia famiglia, di tutti i beni», dice Cavallotti, «vorrei chiedere al Fatto Quotidiano: voi sapete cosa significa cercare di rialzasi nel momento in cui si è innocenti eppure spogliati di tutto? Sapete che significa perdere la forza di far andare avanti i propri figli?».