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Un vero e proprio terremoto, peggiore, si vocifera a Palazzo Bachelet, di quello provocato dallo scandalo Palamara. Protagonista della nuova “horror story” del Csm è Rosanna Natoli, laica in quota Fratelli d’Italia vicina al presidente del Senato Ignazio La Russa, entrambi di Paternò, in Sicilia. Che, stando al contenuto di una chiavetta depositata due giorni fa dall’avvocato Carlo Taormina nel corso di un’udienza disciplinare, avrebbe avuto un colloquio privato con una magistrata incolpata davanti al “tribunale” delle toghe, dispensando consigli su come affrontare la vicenda. E a quel punto il vicepresidente Fabio Pinelli, assieme al resto del comitato di presidenza (composto dalla prima presidente della Cassazione Margherita Cassano e dal procuratore generale Luigi Salvato) non ha potuto far altro che inviare gli atti alla procura di Roma.
Il caso è esploso nel corso della seduta di martedì, quando nel corso del disciplinare a carico di Maria Fascetto Sivillo, giudice civile di Catania - condannata dal Tribunale di Messina a tre anni e sei mesi perché ha “abusato della sua qualità e dei suoi poteri, compiendo più atti idonei e diretti in modo non equivoco a costringere funzionari di Riscossione Sicilia Spa alla cancellazione di procedure esecutive contro di lei intentate” - il suo avvocato Taormina ha chiesto la revoca della misura cautelare della sospensione del servizio. Dopo una discussione in Camera di Consiglio e l’intervento della procura generale, Fascetto Sivillo ha preso la parola affermando di avere una cosa «grave da raccontare». Ovvero di aver incontrato, mesi fa, la laica Natoli nel suo studio siciliano che le avrebbe dato dei “consigli” - secondo quanto filtrato in queste ore - su come difendersi davanti ai giudici di Palazzo Bachelet, ammettendo di violare in quel momento il segreto della camera di consiglio. Fascetto Sivilli ha però registrato la conversazione, salvandola su una chiavetta usb che martedì è stata tirata fuori in udienza, assieme alla trascrizione del tutto, un fascicolo di 130 pagine consegnato da Taormina nelle mani di Pinelli. Uno scandalo che il legale aveva anticipato, laconicamente, sul proprio profilo Facebook: «Sono al Consiglio superiore della magistratura per difendere un magistrato massacrato perché non appartenente a nessuna corrente e per aver denunziato reati che si consumavano nel suo ufficio da parte di altri magistrati – aveva scritto Taormina -. Invece della protezione, il Consiglio superiore, l’organo che avrebbe dovuto garantirlo,lo perseguita. Homo homini lupus, diceva Hobbes; iudex iudici lupissimus, dico io. Ma oggi (martedì, ndr) accadrà qualcosa di importante. Seguite la cronaca e saprete».
La scena ha decisamente pietrificato i giudici disciplinari e Natoli, nel giro di due ore, ha rassegnato le dimissioni dalla disciplinare, disertando, come anticipato dal Dubbio di ieri, la seduta di plenum di mercoledì. Seduta che buona parte delle toghe era pronta ad abbandonare, qualora la laica di centrodestra si fosse presentata in aula. La sua assenza è così risultata determinante per la nomina del procuratore di Catania, Francesco Curcio, che ha vinto sul suo avversario Giuseppe Puleio per un voto. E il voto mancante all’aggiunto etneo era, appunto, quello di Natoli.
La questione ha suscitato un vivo dibattito interno al Csm sulla capacità della politica di scegliere i laici di Palazzo Bachelet. Una discussione che non cade nel momento sbagliato e che attribuirebbe alla mossa di Taormina un valore politico, dal momento che è in discussione la riforma che prevede il sorteggio della componente togata del Csm e l’istituzione di un’Alta Corte disciplinare. Così non è mancato il commento del segretario di Area, Giovanni Zaccaro, intenzionato a ribaltare il punto di vista. «Questi sono i laici ai quali la politica affida la tutela dell'autonomia della magistratura? - si è chiesto il magistrato - Dimostrano quanto sia pericoloso creare l’Alta Corte disciplinare per i magistrati e rafforzare la presenza della politica nel Csm».
Un pensiero con il quale non è d'accordo il togato indipendente del Csm Andrea Mirenda: «Quanto accaduto, contrariamente a quanto ritiene il leader di Area, dimostra vieppiù quanto grande sia il bisogno di spostare il “vero” giudice disciplinare all’esterno del Csm, nell’ambito della consueta giustizia amministrativa. È proprio il reclutamento dei giudici disciplinari com’è oggi la madre di ogni distorsione, anche di quella odierna, posto che si dà ingresso a soggetti “designati” dalla correntocrazia o dalla politica più politicante, perciò legati a doppio filo, per vincolo di sodalità e riconoscenza, verso chi lì li ha posti. Soggetti, quindi, che - per l’evidente fragile indipendenza - mai potrebbero essere chiamati al ruolo di “giudici dei giudici”. Non è pensabile, del resto, che il Csm sia, all’un tempo, l’organo amministrativo che determina il perimetro della norma disciplinare e anche il giudice chiamato ad accertarne la violazione e ad emettere la relativa sentenza di condanna. Come accade, purtroppo… Le decisioni disciplinari del Csm dovrebbero essere, a tutti gli effetti, meri “atti amministrativi” impugnabili, nelle forme consuete, davanti al giudice amministrativo – ha concluso -. Questo sarebbe un traguardo di civiltà giuridica e un contributo determinante al recupero della indipendenza dei singoli magistrati».