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Bisogna preoccuparsi se un giornalista, non adeguandosi al pensiero molto in voga della presenza dei servizi segreti “deviati” nella preparazione della strage di Via D’Amelio, approfondisce piste non vagliate in questi 30 anni o magari intervista pentiti, ovviamente facendo verifiche e riscontri nel limite dei propri mezzi, che raccontano fatti inediti? A quanto pare, sì. Ed è il caso di Michele Santoro e Guido Ruotolo per il libro “Nient'altro che la verità”, in cui vengono riportate le rivelazioni dell’ex collaboratore di giustizia Maurizio Avola.
I due giornalisti sono stati intercettati dalla procura di Caltanissetta per sbugiardare le dichiarazioni dell’ex pentito, partendo dall’ipotesi che fosse eterodiretto da parte di soggetti non identificati al fine di depistare. La finalità? Quella di precludere "ogni ulteriore possibile sviluppo investigativo rispetto alle piste, emerse in plurimi dibattimenti, del coinvolgimento nella fase ideativa ed esecutiva delle stragi di soggetti esterni a Cosa nostra".
Cosa bisogna pensare? Vanno benissimo le dichiarazioni riportate in mondovisione da programmi in prima serata come "Report", dove soggetti camuffati parlano di entità e storie surreali, prive di riscontri ma funzionali per aumentare l'audience. Va malissimo, anzi si ipotizzano manovre da parte di gruppi oscuri, quando vengono riportate dichiarazioni che non convalidano l'eterna pista dei servizi deviati come fautori della strage. Poco importa sapere che lo stesso Giovanni Falcone ha sempre stigmatizzato la teoria del "terzo livello", così come poco importa apprendere che in questi trent'anni non è stata concretamente dimostrata la partecipazione di soggetti esterni alla mafia nella preparazione ed esecuzione della strage.
In questa narrazione molto in voga, non esiste nessun riscontro. Gaspare Spatuzza parla di un uomo che non conosce nel garage in cui si preparava l'autobomba che avrebbe ucciso il giudice Paolo Borsellino in via D'Amelio. Il fatto che non lo conoscesse si dà per assodato che sia un soggetto estraneo a Cosa nostra. Ma è una supposizione, ed è rimasta tale. Tra l’altro, dettaglio importante, all’epoca Spatuzza non poteva conoscere tutti gli appartenenti a Cosa nostra perché ancora non era un uomo “d’onore”. Poi c'è la testimonianza dell'ex poliziotto Francesco Paolo Maggi, uno dei primi poliziotti ad arrivare sul luogo della strage, che racconta di aver visto persone vestite come i "man in black", a 40 gradi all'ombra, rovistare nell'auto ancora in fiamme di Borsellino senza una goccia di sudore. Ebbene, nelle motivazioni sull'ultima sentenza di depistaggio, i giudici scrivono nero su bianco che non può essere credibile il suo racconto. Inoltre, scrivono nelle motivazioni: "Il riferire circostanze così importanti a distanza di un notevole periodo di tempo (Maggi, nonostante fosse stato già sentito in altre occasioni, non ha mai rivelato tale circostanza prima del processo Borsellino quater) rende ancora più dubbia la credibilità di un dichiarante che è comunque stato destituito dalla Polizia di Stato nel 2001 a causa dell'abuso di sostanze stupefacenti e che ha fornito una versione sulla borsa del dottor Borsellino che contrasta con i dati oggettivi provenienti dai filmati".
Solo illazioni e suggestioni. Eppure, come riportato qui su Il Dubbio, mancano ancora dei tasselli concreti, a partire dall’identificazione di tutti i mafiosi partecipanti alla strage e il probabile supporto logistico fornito attraverso il palazzo sito in Via D’Amelio numero 46, quello dove risiedeva la famiglia Buscemi. Ma non sembra interessare. Sia i media che le autorità giudiziarie sono alla ricerca dei soggetti esterni, e sembra che sia "pericoloso" se un giornalista mette in discussione tale assunto. Ma c’è dell’altro.
I pm esprimono anche un giudizio sul lavoro di Santoro e Ruotolo, sottolineando che hanno "in definitiva, operato la scelta di recepire in modo acritico le dichiarazioni rese da Maurizio Avola, riportandone il contenuto nello scritto senza in alcun modo svolgere un vaglio critico". Tuttavia, un pm non dovrebbe limitarsi a trovare le prove d'accusa nei confronti di coloro che commettono reati, violando le leggi? Comunque, sembra che i giornalisti abbiano cercato non solo dei riscontri, ma anche delle prove contrarie, ovviamente nel limite del possibile, visto che un giornalista non può e non deve avere i mezzi delle autorità giudiziarie, non essendo un pubblico ministero.
È interessante notare – anche leggendo il libro - che i giornalisti hanno fatto sforzi per verificare le informazioni. E comunque, come racconta Guido Ruotolo a Il Dubbio, hanno inviato l'intervista fatta ad Avola, registrata tramite smartphone, a una società israeliana. Questa società è specializzata nell'ascolto del timbro vocale per verificare se una persona dice il vero. Il riscontro è stato positivo, ma per maggiore sicurezza hanno richiesto una registrazione più professionale e pulita. Quindi, Ruotolo, avendo a disposizione i mezzi adeguati, ha registrato nuovamente l'intervista ad Avola per poterla rimandare alla società. Tuttavia, la società è "sparita", non risultava più reperibile. L’aver contattato questa ditta, risulta anche dalla richiesta di archiviazione stessa. Pare quindi che le verifiche siano state fatte. D'altronde, sono stati gli stessi giornalisti a consigliare ad Avola di riferire alle autorità ciò che ha raccontato.
In conclusione, appare evidente l'amarezza per il fatto che in questo Paese si debbano enfatizzare i retropensieri, mentre la ricerca dei fatti, anche sbagliando, sembra che sia una modalità inadeguata e soprattutto rischiosa.