«Il processo accusatorio, che fa parte del nostro sistema da oltre trent’anni, non implica e non esige una separazione delle magistrature, ma chiede una separazione delle funzioni. È dunque un fiacco argomento retorico, speso più e più volte anche dal ministro della Giustizia, quello per il quale la riforma s’ha da fare per adattare la Costituzione al codice di rito accusatorio. Né è più saldo l’altro pilastro della costruzione eretta a giustificazione della riforma, quello della mancanza di effettiva terzietà del giudice». È questo il succo del discorso di Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione nazionale magistrati, pronunciato in apertura della quarta assemblea straordinaria indetta in poco più di due anni e mezzo. Un indice, ha sottolineato Santalucia, «di quanto grande sia la preoccupazione della magistratura per il contesto in cui si trova ad operare e in cui progrediscono, nell’iter parlamentare, i disegni di revisione costituzionale». L’obiettivo della politica, afferma il presidente del sindacato delle toghe, è «frammentare», sia la magistratura sia il Csm.  Un attacco pesante, afferma, che coinvolge anche la stampa e i media, che feriscono la magistratura «con ogni genere di accuse, per poi addebitarle di aver perso la fiducia dei cittadini, fiducia esposta in larga misura all’azione corrosiva delle loro intemerate sulla politicizzazione, sulla ostilità al governo, sul collateralismo partitico, sulla pratica giudiziaria costellata di errori - afferma il presidente dell’Anm -. Tutto ciò è reso possibile dall’insofferenza che settori importanti della politica ostentano nei confronti della giurisdizione. Dai test psico-attitudinali al serissimo, e da noi non sottovalutato, capitolo dell’errore giudiziario, nulla è affidato alla riflessione e al costruttivo approfondimento e ogni tema è usato per l’incessante opera di sfaldamento della credibilità dell’ordine giudiziario. Di fronte a questo progressivo deterioramento del quadro, la magistratura potrà continuare ad aver fiducia e coltivare speranza soltanto se saprà mantenere, anzi rafforzare, la presenza e la vitalità dell’associazionismo».

Quello di Santalucia è uno degli ultimi discorsi del suo mandato, un mandato difficile, caratterizzato da moltissime polemiche con la politica e proteste anche feroci. La prossima, annunciata, riguarderà quella che verrà messa in campo sulla separazione delle carriere, che verrà benedetta – o cestinata – con un referendum che chiarirà definitivamente l’opinione dei cittadini in merito. Ed è proprio in vista di questo referendum che l’azione politica dell’Anm prova ad affinarsi, per portare a casa un risultato che al momento sembra insperato. Da qui l’appello ad una unità reale dell’Associazione, «per essere all’altezza di tempi in cui si rischia di dare avvio alla stagione del declino. Condivido solo per questa parte il giudizio del ministro della Giustizia sulla riforma costituzionale da lui definita epocale: si chiude, appunto, un’epoca e se ne apre un’altra, ma in senso decisamente regressivo». Quella portata avanti dalla politica, afferma, è una «massiccia campagna di sfiancamento della cornice costituzionale, condotta ora sbandierando, con una bizzarra inversione concettuale, la necessità dell’allineamento della Costituzione alla legge, al codice di rito penale; ora, addirittura, tacciando l’attuale assetto ordinamentale di produrre un deficit di terzietà del giudice - aggiunge -. Non v’è alternativa all’essere uniti per far valere, con rispetto profondo per il Parlamento che dovrà decidere ma con altrettanta profonda convinzione della bontà dei nostri argomenti, una contrarietà alla riforma che non ha nulla di corporativo, che non esprime sentimenti di gretta conservazione o autoconservazione, che non mira a mantener chissà quali privilegi. Lo abbiamo detto in tutte le sedi possibili, e continueremo a farlo, rafforzati e confortati, da ultimo, dalle riflessioni di un illustre studioso del processo penale, il professor Paolo Ferrua, pubblicate qualche giorno fa sulla stampa (proprio sul Dubbio, ndr)».

Nessuno tra i sostenitori della riforma delle carriere, afferma Santalucia, spiega «perché, in questi oltre vent’anni dalla novella dell’articolo 111 Cost. con il riferimento al giudice, oltre che imparziale, anche terzo, non sia mai stata denunciata alla Corte costituzionale l’illegittimità dell’assetto ordinamentale e perché la Corte, che in tante occasioni ha utilizzato nei suoi scrutini il parametro della terzietà, non ha mai indicato al legislatore la necessità di una separazione delle magistrature; perché l’equidistanza dalle parti potrà dirsi realizzata se il giudice avrà di fronte un magistrato, sì di una magistratura separata ma dello stesso suo ordine giudiziario (perché la riforma non tocca l’unicità dell’ordine), e che in ogni caso sarà sempre a lui più vicino, siccome magistrato e magistrato dello stesso ordine, di quanto potrà mai essere un avvocato del libero foro; e nessuno, soprattutto, spiega per quale ragione la separazione delle magistrature, pure ritenuta ineludibile, si dissolverà nel nuovo luogo della responsabilità disciplinare, l’Alta Corte di giustizia, in cui la prevalenza numerica della componente togata sulla laica si reggerà su una ritrovata commistione delle due magistrature. Cos’altro occorre per accorgersi, proprio attraverso le incoerenze e le lacune di un testo affrettato, che il fine della riforma non può che essere colto tra le sue righe? Il fine, al di là di quanto si dichiara - aggiunge -, è la frammentazione come strategia di indebolimento sia del Csm che della magistratura e della sua esperienza associativa; non certo il rafforzamento del giudice, secondo le formule enfatiche del “giudice gigante”, del “potenziare notevolissimamente” il suo ruolo e la sua figura, con cui il rappresentante del Governo ha magnificato qualche giorno fa la riforma dinnanzi all’assemblea della Camera dei deputati».

Se l’obiettivo fosse realmente il rafforzamento della figura e del ruolo del giudice, aggiunge Santalucia, la strada giusta sarebbe quella «del rispetto della funzione pur quando i giudici adottano provvedimenti sgraditi». Una maggiore considerazione per il loro lavoro, dunque, e meno diffidenza nei loro confronti, accusati di agire «per faziosità e partigianeria partitica», sottolinea, facendo riferimento soprattutto alle ultime polemiche in tema di migranti. Il rischio della riforma, aggiunge inoltre Santalucia, è quello di separare il pm dall’ordinamento e di sottoporlo alla politica. «Io do credito, non foss’altro che per rispetto della persona, alla buona fede del ministro che dice che non avverrà mai la sottoposizione del pubblico ministero alla politica. Ma, come dice il professor Ferrua, il cui pensiero in gran parte corre lungo gli stessi binari che con ostinazione percorriamo da tempo inascoltati, il ministro non ha il potere di ipotecare il futuro e, aggiungo ora come considerazione generale, il futuro non assume obblighi di lealtà se alla buona fede non si accompagnano, nel prepararlo, avvedutezza e prudenza».

Il compito della magistratura in questo periodo di riforme e tensioni, conclude dunque Santalucia, è complesso e richiede una visione attenta alle evoluzioni normative e al processo culturale che minaccia di indebolire il sistema giuridico, costruito con fatica nel corso degli anni. La centralità degli organi di garanzia è sempre più messa in discussione, con un crescente tentativo di concentrare il potere nelle mani degli organi di governo, a scapito dell'indipendenza della magistratura. Tuttavia, l’omogeneità culturale della magistratura, pur con i suoi difetti, viene vista come un punto di forza che può impedire il declino.

In questo contesto, la magistratura deve «resistere» e rispondere alle sfide con unità e determinazione, affinché le riforme non portino alla frantumazione del sistema, sottolinea il presidente dell’Anm. Secondo cui sono necessarie riforme urgenti, soprattutto per affrontare il grave disagio carcerario e le disuguaglianze sociali. L’uguaglianza e il servizio giustizia devono essere al centro delle azioni, per garantire che la giustizia sia accessibile a tutti, senza discriminazioni, e che il sistema giuridico sia un valore condiviso da tutta la società. Serve, dunque, «uno sforzo collettivo, dei magistrati come e al pari degli altri, per restituire centralità, nella gestione dei fascicoli e nel computo dei numeri di statistiche e obiettivi, a Costituzione invariata e integralmente praticata, alla persona e al senso di umanità che deve fare della giustizia, con una quotidiana tensione ideale da coltivare in ogni modo, il volto anche severo ma rassicurante di una comunità che non discrimina e non abbandona».

La mozione finale

Al termine della giornata di lavori, l’Assemblea generale ha deliberato di avviare immediatamente «una mobilitazione culturale e una sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui pericoli di questa riforma, che, sia a livello centrale che locale, si articoleranno in diverse iniziative». È prevista dunque l’immediata istituzione di un comitato operativo a difesa della Costituzione aperto all’avvocatura, all’università, alla società civile, indipendente da ogni ingerenza politica, anche in vista di una possibile consultazione referendaria, per far conoscere alla cittadinanza i pericoli derivanti dalla riforma; l’organizzazione di almeno una manifestazione nazionale da svolgersi in un luogo istituzionale significativo subito dopo l’eventuale approvazione in prima lettura della proposta di riforma; lo svolgimento di iniziative comuni su tutto il territorio nazionale coinvolgendo istituzioni locali, avvocatura, scuole, università, esponenti della società civile; una forma di protesta e di sensibilizzazione da organizzare in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2025; la creazione di luoghi di confronto e sinergia con le altre magistrature; il rafforzamento di una strategia comunicativa innovativa ed efficace anche mediante il supporto di esperti della comunicazione; il coinvolgimento delle istituzioni europee preposte al monitoraggio dell’indipendenza e imparzialità della magistratura, anche per attivare eventuali procedure di infrazione; l’indizione, in relazione all’iter parlamentare di discussione del Ddl di riforma costituzionale, di una o più giornate di sciopero per sensibilizzare l’opinione pubblica sui pericoli della riforma.