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«È palese l’invasione di campo di un potere dello Stato nei confronti di un altro, non bisogna permetterlo». Tra la consegna di un bene confiscato ai Casamonica e la “chiusura” di un porto, Matteo Salvini torna a parlare della richiesta inviata dal Tribunale dei ministri al Senato: autorizzare la magistratura a processare il ministro dell’Interno per il «sequestro» dei migranti a bordo della nave Diciotti. E nonostante l’irritazione, il segretario del Carroccio comincia ad accarezzare l’idea di presentarsi davanti alla corte per sfruttare a suo favore l’inchiesta da un punto di vista mediatico, forse anche per disinnescare le polemiche interne al Movimento 5 Stelle. Per questo Salvini ora confessa di aver «voglia di andare fino in fondo e di essere convocato a Catania, però poi c’è il Senato che è sovrano e deciderà», dice. «Chi sono io per non farmi processare? Sono pronto a farlo», aggiunge, entrando nella parte. «Non ho bisogno di protezione perché altri chiedevano l’immunità perché rubavano, io invece ho applicato la legge da ministro. Ritengo anche di aver applicato la Costituzione che prevede la difesa della patria», argomenta l’inquilino del Viminale, scegliendo una linea difensiva che Luigi Di Maio non può che condividere. Ma forse non il resto del Movimento, da sempre ostile alle immunità parlamentari. «Proprio per dipanare qualsiasi dubbio, qualsiasi tipo di accusa, io fossi in Salvini mi sottoporrei al processo, andrei avanti senza usufruire di immunità in modo tale da dimostrare, con piena fiducia nella magistratura, la propria innocenza», dice l’eurodeputata grillina Laura Ferrara, sintetizzando i sentimenti di molti eletti tra le file del M5S. E per quanto il ministro del Lavoro e quello della Giustizia rivendichino la totale sintonia governo anche sulla gestione dell’affaire Diciotti - condividendo dunque con Salvini la responsabilità di quanto accaduto lo scorso agosto - convincere tutti i senatori del Movimento a votare no alla richiesta della magistratura sembra impresa impossibile. «Un anno fa sarei stata certa che nessuno avrebbe ostacolato il percorso della giustizia», dice con tono polemico la senatrice ortodossa Elena Fattori. «Ora che abbiamo derogato a qualunque principio 5 Stelle in nome di una presunta governabilità non ho certezze» .
Ma Fattori non è più l’unica grillina a esternare alla luce del sole il proprio dissenso nei confronti dell’appiattimento salviniano della maggioranza in materia di immigrazione. E se la deputata Doriana Sarli definisce «disumano» sgomberare i Cara, l’ex candidato sindaco di Palermo, Ugo Forello, si rivolge direttamente a Di Maio e Toninelli: «Non parlate in mio nome. Basta! Non è possibile continuare a far finta che nulla stia accadendo», scrive su Facebook. «Il vostro modo sprezzante di parlare di persone, come se fossero cose, non è accettabile», insiste Forello. L’ex candidato sindaco è convinto che non si possa più «cedere il campo alla teoria che sia necessario occuparsi» prima «di qualcosa o di qualcuno, a discapito di qualcos’altro o di qualcun altro».
Perché «chi, davvero, vuole intervenire in aiuto delle fasce più deboli e indifese dei cittadini, contro le disuguaglianze e ingiustizie, non può - nello stesso tempo - non avere la stessa sensibilità, lo stesso senso di giustizia e umanità per gli stranieri che si trovano in mezzo al mare».
La convivenza di governo, insomma, mostra le prime crepe importanti e il voto del Senato su Salvini potrebbe solo acuire le distanze.