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«Roma ladrona, la Lega non perdona» : nessuno slogan illustra meglio di questo gli umori a cui diede voce a cavallo tra gli anni ' 80 e ' 90, il leghismo diffuso prima e la Lega Nord di Umberto Bossi poi. Il razzismo anti- meridionale c'era e trapelava, orribile, in battute e battutacce varie. Ma quello era folklore. La Lega molto più che col sud ce l'aveva con la Capitale, il centro marcio dal quale partiva, secondo la retorica leghista ma anche nella convinzione dei suoi furibondi elettori, il saccheggio delle risorse del nord. Nessuno slogan, di conseguenza, dovrebbe essere più lontano dallo spirito della nuova Lega salviniana, quella che ha messo da parte il riferimento nordista per spaziare nell'intera penisola e che mira addirittura ad assumere il governo della un tempo aborrita Capitale.
Tra i tanti fronti di scontro conclamato o potenziale tra i soci della maggioranza nessuno avrebbe puntato su una norma che, in soldoni, non è altro che una ristrutturazione del debito pregresso di Roma e che andrebbe tutto sommato a vantaggio di tutti: dello Stato e della fiscalità generale, che potrebbero contrattare con le banche un tasso meno esoso di quello accettato a suo tempo da Veltroni e Causi finendo così probabilmente per risparmiare e certamente per non peggiorare le cose; della città, che eviterebbe di affogare in una crisi di liquidità altrimenti inevitabile; della sindaca che si ritroverebbe con più fondi a disposizione ma anche dei cittadini che di quei fondi comunque si gioverebbero. Infatti appena una ventina di giorni fa il Carroccio aveva dato il semaforo verde. Poi tutto è cambiato, e di certo la guerra sempre più aspra tra i soci di maggioranza e in particolare il caso Siri hanno pesato parecchio. Ma ancora di più ha condizionato la decisione a sorpresa della Lega quello che da settimane e mesi è il vero incubo di via Bellerio: un calo di consensi al nord.
In termini assoluti quell'eventuale emorragia di consensi sarebbe compensata dai voti di fresco arrivo del centro e del sud. Ma i voti, si sa, bisogna pesarli, non solo contarli. E un arretramento nelle roccaforti del nord, tanto più se confermato dal voto delle regionali piemontesi che si terranno contemporaneamente alle europee, sarebbe un segno talmente nefasto da offuscare qualsiasi successo in termini di percentuali nazionali. I motivi della minaccia che si annida proprio all'interno delle mura di cinta leghiste è evidente. L'accordo con M5S sarà pure meno esoso, per Salvini, di quanto non lo sarebbe quello con Berlusconi. Ma non è certo a costo zero. Il provvedimento più atteso dalla base sociale di riferimento della Lega nel nord e nel nord est, quello sulle autonomie, è bloccato. La Tav, con utto il suo enorme portato simbolico pure. La scelta di investire in deficit sul Reddito di Cittadinanza anziché sugli investimenti è stato vissuto come un affronto. Il rischio di punizione nelle urne, insomma, c'è tutto.
La reazione di Salvini, più talentuoso come propagandista che come leader dotato di visione strategica, è stato un secco ritorno alle origini, agli anni lontani della furia bossiana. La stessa cosa hanno fatto anche i 5S, cavalcando il origini, un tcaso Siri con un eccesso di giustizialismo che costituisce anche per loro un ritorno alle entativo di sventolare la bandiera più identitaria che possiedono. Il caso in sé sarebbe infatti di facile risoluzione. A norma di codice etico concordato dai soci contraenti, l'eventuale rinvio a giudizio comporterebbe automaticamente le dimissioni del sottosegretario, la cui permanenza senza deleghe sino al momento del verdetto sarebbe in realtà un problema relativo. Il problema, per i 5S, sono i tempi: le dimissioni devono arrivare prima del voto europeo.
La simmetria tra i due partiti però non è perfetta. I 5S non hanno mai rinnegato il giustizialismo anti- corruzione come ispirazione originaria: lo hanno tutt' al più un po' mitigato nella pratica. La nuova Lega di Salvini, al contrario, aveva fatto del superamento degli umori ' padani' e antiromani la base per la nuova e sin qui fortunatissima partenza. La scelta di Salvini è di quelle ad alto rischio. Il cdm ha licenziato solo due commi della norma su sette, ma i 5S hanno accettato di spolpare sino all'osso la norma, eliminando il passaggio chiave quello che passerebbe al Tesoro l'onere delle obbligazioni, con l'esplicita intenzione di rovesciare la situazione in aula. In parlamento e in particolare al Senato si era già messo in moto un fronte trasversale che conta al proprio interno esponenti della sinistra radicale come della destra di FdI, del Pd come di Fi, pronto a riproporre il Salva Roma come emendamento se il cdm lo avesse cassato. Far approvare emendamenti tali da ripristinare la norma originaria per i 5S non sarà affatto difficile e Salvini