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Loro, i grillini, fino all’ultimo hanno ripetuto il solito ritornello: “andiamo avanti, andiamo avanti”. L'unico refrain che intonano dallo scorso 26 maggio: giorno in cui le urne europee li ha inchiodati a un terrificante 17%.
E dunque Di Maio, almeno fino a ieri e per tutti questi mesi, ha avuto un’unica idea fissa in testa: “siamo disposti a tutto pur di evitare il voto. Tutto tranne un nuovo, esiziale bagno di sangue”. Un peana che, a quanto pare, non ha avuto l’effetto sperato.
LO STRAPPO DI SALVINI Nel tardo pomeriggio di ieri Salvini ha infatti tagliato i ponti. Prima ha ripetuto che lui non è affatto interessato alle poltrone né a qualche ministero in più ma solo al bene supremo degli italiani. Poi ha portato l’affondo finale: «Inutile andare avanti a colpi di no e di litigi, come nelle ultime settimane - ha spiegato il ministro leghista -. Gli italiani hanno bisogno di certezze e di un governo che faccia, non di “Signor No».
Poi Salvini spiega che «non vogliamo poltrone o ministri in più, non vogliamo rimpasti o governi tecnici: dopo questo governo, che ha fatto tante cose buone, ci sono solo - avverte - le elezioni». «L’ho ribadito oggi - conferma - al presidente Conte: andiamo subito in Parlamento per prendere atto che non c’è più una maggioranza, come evidente dal voto sulla Tav e dai ripetuti insulti a me e alla Lega da parte degli alleati, e restituiamo velocemente la parola agli elettori». «Le vacanze - è la stoccata del leader leghista - non possono essere una scusa per perdere tempo e i parlamentari, a meno che non vogliano a tutti i costi salvare la poltrona, possono tornare a lavorare la settimana prossima, come fanno milioni di italiani».
ELEZIONI SEMPRE PIU' VICINE Insomma, mai come oggi le elezioni sono state così vicine. La decisione di Salvini è andata maturando in pochi mesi. E sì perché mentre il Movimento fondato da Beppe Grillo era crollato al 17%, lui, il Salvini, era volato fino al 34%. Un risultato storico che i sondaggi successivi non solo hanno confermato ma addirittura gonfiato fino a far arrivare la Lega intorno al 40%.
Insomma, a quel punto è diventato chiaro a tutti che la crisi fosse solo questione di mesi, settimane, giorni. Da quel 26 maggio, infatti, tutto era finito nelle mani di Salvini che doveva decidere solo la data in cui passare alla cassa.
Ma il comunicato fatto filtrare da via Bellerio, almeno fino al pomeriggio di ieri, aveva lasciato aperta qualche speranza. Almeno tra i grillini. I quali avevano immediatamente replicato: «La nota della Lega è incomprensibile. Dicano chiaramente cosa vogliono fare. Siano chiari». Una richiesta tutt’altro che infondata visto che la crisi di governo, almeno fino al colpo di coda finale con cui Salvini ha chiesto a Conte di parlamentizzare la crisi era tutta virtuale: gridata sui social ma senza lo straccio di un passo formale. Anche l’annunciato ritiro dei ministri leghisti veniva smentito seccamente da via Bellerio.
LE MOSSE DEL QUIRINALE Nel frattempo la partita si giocava anche sul Colle. Dopo un “breve e informale” incontro col capo dello Stato, il premier Conte faceva sapere di non essere disponibile a un rimpasto: un concetto ripetuto più volte allo stesso Salvini. Dunque che fare? Aspettare, attendere la decisione finale e definitiva di Salvini. Solo a quel punto il Colle può infatti attivare le “contromosse”.
E tra l’esercito grillino in rotta c’era anche chi vagheggiava un governo di minoranza con un nuovo incarico a Conte - sostenuto con l’astensione del PD. E nel caso in cui il vicepremier leghista decidesse davvero di “licenziare” Conte, sul campo rimarrebbero due ipotesi: quella della “crisi lampo” ( in ogni caso con un passaggio parlamentare, magari con il rinvio alle Camere di Conte). Oppure una “crisi standard”. E in questo caso si aprirebbe il normale iter che fa seguito alle dimissioni del presidente del Consiglio, un inedito nella storia repubblicana alla vigilia di ferragosto. Ma di fronte all’ipotesi della crisi, torna alla ribalta anche lo spettro dell’esercizio provvisorio, e di conseguenza l’incubo dell’aumento dell’Iva.