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Per il saluto romano va contestata la legge Scelba sull’apologia del fascismo e in particolare l’articolo 5, ove, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea ad integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, vietata dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione.
È la decisione assunta dalle Sezioni Unite della Cassazione che ha disposto un processo di appello bis per otto militanti di estrema destra che durante una manifestazione in memoria di Enrico Pedenovi, Sergio Ramelli e Carlo Borsani, rispondevano alla chiamata del “presente”, eseguendo il “saluto fascista”, anche noto come “saluto romano”. L’appello bis dovrà verificare se dai fatti accertati sia conseguita la sussistenza del concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista.
In primo grado il Tribunale di Milano assolveva gli imputati per mancanza di dolo, perché in un procedimento precedente altri imputati erano stati assolti. La decisione veniva ribaltata in secondo grado quando arrivava la condanna per tutti. I legali degli imputati fecero ricorso in Cassazione e la prima sezione penale (Presidente: Monica Boni, Relatore: Alessandro Centonze) rimisero gli atti alle Sezioni Unite non per il contrasto tra la decisione di primo grado e quella di secondo grado ma per – si legge nell’ordinanza di remissione - un “contrasto ermeneutico”, più semplicemente una diversità di orientamenti all’interno della Cassazione stessa.
Quali? Se applicare la legge Scelba - la norma, nata nel 1952, che criminalizza la ricostituzione del partito fascista – o la legge Mancino, nata all’inizio degli anni 90, per punire non la ricostituzione del partito di Benito Mussolini, ma i crimini d’odio. L’articolo 5 prevede che «Chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste è punito con la pena della reclusione sino a tre anni e con la multa da duecentomila a cinquecentomila lire. Il giudice, nel pronunciare la condanna, può disporre la privazione dei diritti previsti nell'articolo 28, comma secondo, numeri 1 e 2, del codice penale per un periodo di cinque anni».
I giudici delle SU, inoltre, ritengono che «a determinate condizioni può configurarsi» anche la violazione della legge Mancino che vieta «manifestazioni esteriori proprie o usuali di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. I due delitti possono concorrere sia materialmente che formalmente in presenza dei presupposti di legge».
«Le sezioni unite della Cassazione dichiarano che il ‘saluto romano’ è punibile dalla legge Scelba solo quando per le circostanze concrete della sua esplicazione e manifestazione ci sia reale e concreto pericolo di ricostituzione del partito fascista. Cosa che ovviamente non è nella cerimonia commemorativa del presente»: così all'Adnkronos l'avvocato Domenico Di Tullio difensore di due fra gli imputati. Il penalista ha aggiunto: «Il ‘saluto romano’ fatto da oltre 40 anni nel corso di commemorazioni di defunti e vittime del terrorismo non è reato», ha sottolineato. «Per la contestazione della Legge Mancino è necessario che ci sia un'organizzazione che ha tra gli scopi la discriminazione razziale e la violenza razziale. Non è il caso del presente e del ‘saluto romano’ che non ha i requisiti della riorganizzazione né di discriminazione. Non è dunque sussumibile nelle due fattispecie ipotizzate», ha concluso il penalista.
Il saluto romano? «Certo, continueremo a fare il saluto romano», così il portavoce di Casapound, Luca Marsella. In una nota Casapound ha aggiunto: «La decisione della Cassazione è una vittoria che finalmente mette fine a una serie di accuse che non avevano alcun senso, con buona pace di chi, ad ogni Presente, invoca condanne e sentenze esemplari. Questa vittoria mette la parola fine anche alle polemiche indegne che si sono scatenate dopo la commemorazione di Acca Larenzia dove, invece di indignarsi perché dopo 40 anni degli assassini sono ancora a piede libero, la sinistra democratica ha subito chiesto processi e condanne per chi ha deciso di ricordare».
Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, «da avvocato aveva dichiarato che 'attendeva con interesse di conoscere l'esito della imminente decisione a sezione riunite della Cassazione' perché riteneva 'occorresse chiarezza'. Oggi non parla e si limita a far sapere che la decisione della Cassazione che annulla la sentenza della Corte di appello e dispone nuovo processo 'si commenta da sola'»: è quanto hanno fatto sapere fonti della Presidenza del Senato.