L'ipotesi di reato di corruzione poteva essere contestata alle donne ospiti nella residenza di Arcore di Silvio Berlusconi solo nel momento in cui hanno rilasciato le presunte dichiarazioni false agli inquirenti nella loro veste di pubblici ufficiali, e non prima, anche se erano già emersi indizi a loro carico. Questo è il nucleo del ragionamento espresso dalla Cassazione nelle motivazioni depositate, relative alla decisione di ordinare un nuovo processo Ruby ter, dopo l’assoluzione di tutti gli imputati, inclusa quella dell’ex premier Silvio Berlusconi, nel febbraio 2023. Nel frattempo, Berlusconi è deceduto.

Il Tribunale di Milano, invece, aveva stabilito che le giovani donne avrebbero dovuto essere assistite da un avvocato già durante la fase delle indagini preliminari, quando erano emersi elementi che indicavano che avessero ricevuto denaro o altri benefici dall’ex premier, presumibilmente con l’obiettivo di favorire la sua assoluzione nei primi due procedimenti del caso Ruby.

Nel ricorso, la Procura di Milano aveva sostenuto che «la qualifica di pubblici ufficiali» per le donne fosse stata acquisita con il provvedimento di ammissione delle prove adottato nel processo Ruby, il 23 novembre 2011. Tuttavia, secondo la Suprema Corte, «il ragionamento è stato inficiato da un errore nella correlazione tra la qualifica di testimone e il reato di corruzione in atti giudiziari». Infatti, il delitto di corruzione in atti giudiziari richiede che almeno uno dei soggetti coinvolti nell'accordo illecito rivesta formalmente il ruolo di pubblico ufficiale. Prima di tale momento, il reato di corruzione non può configurarsi, e di conseguenza, nemmeno gli indizi raccolti prima di tale qualifica possono avere rilevanza pregiudicante.

La Cassazione ha sottolineato che quanto accaduto prima delle false dichiarazioni, incluse eventuali elargizioni di denaro, non ha rilevanza ai fini della configurazione del reato. «Solo con l'acquisizione della veste di pubblici ufficiali si è potuto ravvisare il delitto di corruzione» si legge nella sentenza. Pertanto, solo da quel momento le indagate avrebbero avuto diritto a un avvocato, e non vi è stata alcuna violazione del loro diritto di difesa.