«Il carcere non può essere un luogo di tortura di Stato». È una denuncia forte quella che arriva da Francesco Greco, presidente del Consiglio Nazionale Forense, intervenuto all’inaugurazione dell’anno giudiziario dell’avvocatura. Al centro della sua relazione, i temi delle condizioni carcerarie, della dignità dei detenuti, della funzione costituzionale dell’avvocato e della necessità di una riforma dell’ordinamento forense.

27 suicidi in carcere nel 2025: «È intollerabile»

«Siamo già arrivati a 27 suicidi nei primi mesi del 2025. Parliamo di persone, non di cose o merci», ha dichiarato Greco. «Chi ha violato la legge è giusto che espii la pena, ma nel rispetto della dignità umana». Per il presidente del CNF, serve un intervento urgente per rendere meno disumane le strutture esistenti e potenziare gli istituti a custodia attenuata, senza necessariamente costruire nuove carceri.

Riformare le pene: “Non solo carcere”

Greco ha sollecitato anche una revisione del sistema sanzionatorio: «Occorre ridurre il ricorso alla carcerazione come unico strumento di espiazione, ampliando l’uso delle misure alternative. E va limitata al massimo la carcerazione preventiva, ricorrendo ad altre misure disponibili».

L’avvocato non è l’imputato: «Difendere chi difende»

Un passaggio centrale della relazione ha riguardato la confusione crescente tra l’avvocato e l’assistito, alimentata dal populismo digitale e da certa narrazione televisiva: «La funzione difensiva viene sempre più spesso attaccata come se fosse complice dei reati imputati. È accaduto in Turchia, con lo scioglimento dell’Ordine forense di Istanbul, ed è una tendenza che si avverte anche in Italia. Ma senza avvocato non c’è processo giusto, come previsto dalla nostra Costituzione».

Processo penale telematico: «Uffici ancora impreparati»

Sul fronte della giustizia digitale, Greco ha rilevato le difficoltà operative del processo penale telematico: «Comprendiamo la necessità di innovare, ma oggi gli uffici non sono ancora pronti». Una trasformazione avviata senza adeguati strumenti rischia di compromettere le garanzie processuali.

Una nuova legge per una nuova avvocatura

Infine, il presidente del CNF ha annunciato la prossima presentazione di una proposta di riforma dell’ordinamento forense: «Chiederemo al governo e alla politica di dotarci di una legge che sappia regolare la professione dell’avvocato del futuro. Una professione autonoma, libera e non mortificata economicamente, che possa continuare a essere presidio di democrazia e giustizia».

Greco ha concluso con un appello alla responsabilità collettiva: «Siamo in un momento di trasformazione profonda della società. Dobbiamo difendere i diritti fondamentali, rafforzare la fiducia nella giustizia e proteggere chi ne garantisce l’equilibrio: l’avvocatura».

Greco e l’intelligenza artificiale

«L'ingresso della tecnologia in tutte le discipline del genere umano è inarrestabile e non possiamo che augurarci che la scienza, la tecnica e la medicina riescano, attraverso la sua applicazione, a migliorare la qualità della vita. Ma nel campo dei diritti, dobbiamo domandarci, se può essere “giusto”, nel senso costituzionalmente orientato, il processo governato dall'Intelligenza Artificiale. Non nella parte organizzativa, ovviamente, né in quella che concerne l'approfondimento dello studio degli atti. Mi riferisco, invece, alla redazione dei provvedimenti giudiziari», ha detto Greco alla presenza del ministro della Giustizia Carlo Nordio.

«Esprimo soddisfazione per avere letto nella bozza di disegno di legge governativo, già approvato in Senato, che non è previsto l'uso dell'intelligenza artificiale nella redazione degli atti giudiziari - ha proseguito Greco - Però, mi permetto di osservare, manca la previsione del destino del provvedimento giudiziario redatto con l'ausilio della macchina, in violazione della disposizione che non ne consente l'uso, ed anche delle conseguenze per chi abusivamente lo faccia. Laddove si discute della persona, della comprensione della ragione delle scelte del singolo e della valutazione dei comportamenti, la decisione non può essere algoritmica ma deve essere frutto del convincimento interiore del giudice. Solo la forza intrinseca di una adeguata e ponderata motivazione di ogni provvedimento può garantire il rispetto del "giusto processo"».