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L’anno appena iniziato porterà a una sempre maggiore digitalizzazione della giustizia? È la domanda che si pongono i giuristi, a partire dagli avvocati. Nel civile una piccola – ma neanche tanto, a giudicare dai numeri crescenti – rivoluzione è già avvenuta. Quasi dieci anni fa, nel 2014, primo anno in cui è stata introdotta l’obbligatorietà del deposito di alcuni atti processuali, sono stati depositati circa un milione di documenti digitali da parte degli avvocati.
L’ultimo dato disponibile, relativo al 2021, evidenzia che i depositi di parte sono stati oltre 21 milioni. Anche i magistrati si sono dovuti adeguare. Per i provvedimenti dei giudici si è passati da 1,7 milioni nel 2014 ad oltre 11 milioni nel 2021. Gli studi legali e le cancellerie dei Tribunali avranno, dunque, sempre meno carta sulle scrivanie e negli armadi. Il ministero della Giustizia (si veda l’intervista a Giuseppe Fichera) parla di un fatto epocale destinato ad incidere ulteriormente sul modo con cui viene amministrata la giustizia in Italia.
La Corte dei Conti pochi giorni fa ha sottolineato l’importanza del processo civile telematico anche se la ragionevole durata dei processi «appare per lo più perseguibile con adeguate procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie». Attenzione, però, ad osannare la digitalizzazione e gli strumenti ad essa connessi, trascurando l’intero contesto che anima la giustizia.
La presidente del Consiglio nazionale forense, Maria Masi, mette in guardia: «Il processo telematico è una funzione». «Il limite – dice – è quello di avere una visione un po’ miope, direi anche a scompartimento. Le valutazioni devono essere d’insieme. E a tal riguardo non si può non si considerare il processo telematico una parte, uno strumento. Non è ipotizzabile immaginare o pensare che possa da solo risolvere tutti i problemi della giustizia. Il processo telematico è lo strumento, dopo c’è bisogno che qualcuno faccia le sentenze. Un aspetto, questo, non di poco conto. La valutazione nei confronti del processo telematico è comunque nel complesso positiva. Bisogna, però, evidenziare che è sempre necessaria un’attività umana: vanno inseriti gli atti, qualcuno deve fissare dei termini, qualcuno deve le sciogliere le riserve con dei provvedimenti. Se valutiamo anche i tempi medi nel civile, oggi, possiamo dire che il processo telematico è comunque a pieno regime».
Predica cautela l’avvocata Carla Secchieri, consigliera Cnf e vicepresidente della Fondazione italiana innovazione forense. «Indubbiamente – afferma -, sotto il profilo normativo si è cercato, con la legge delega, di razionalizzare gli interventi che nel corso degli anni avevano trasformato le norme in materia di processo digitale in una sorta di caccia al tesoro, al fine di trovare quanto necessario per il compimento dell'atto, mediante l'inserimento del titolo V-ter nelle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile. E se sotto il profilo sistematico, questo è sicuramente un passo avanti, ritengo che si sia persa una grande occasione, per semplificare davvero, proprio in ottica digitale. Penso ad esempio alle attestazioni di conformità, e al tanto sospirato rito unico, che regoli in via uniforme tutti i processi telematici ad oggi esistenti. Significativa mi pare anche la circostanza che, se da un lato per gli avvocati diventa obbligatorio il deposito telematico per tutto il processo, e lo considero un bene, per i magistrati questo obbligo non è stato introdotto, con evidenti problemi per una raccolta sistematica dei provvedimenti. Per esempio, la copia per immagine non consente indicizzazioni o anonimizzazioni tramite strumenti di intelligenza artificiale, così che non sarà possibile consultare o utilizzare, anche a meri scopi didattici, una banca dati completa».
Nell’immediato, inoltre, secondo l’avvocata Secchieri non mancheranno disagi. «La recente anticipazione – aggiunge - introdotta con la L. 197/2022, subito seguita dalle proroghe di cui al D.L. 198/2022 in merito all'applicazione della normativa emergenziale, crea, anche sotto il profilo del processo telematico, non pochi problemi di coordinamento. Sotto il profilo tecnico la situazione mi pare ancora peggiore. L'anticipazione dell'entrata in vigore della riforma, che già non comporterà con ogni probabilità la riduzione di un solo giorno nella durata dei processi, ad oggi pare creare non pochi problemi. Mancano, infatti, molti schemi .xsd, i cosiddetti schemi atto per il deposito degli atti di parte e dei magistrati, che hanno un iter non proprio semplice, dovendo essere pensati, realizzati e condivisi con le software house, che dovranno implementare i loro programmi. Mancano strutture già pubblicizzate, come ad esempio l’area web dove dovrebbero essere inserite le notifiche non andate a buon fine per fatto del destinatario. Peggiore, credo, è la situazione del Tribunale per i Minorenni e del Giudice di Pace, ad oggi sforniti degli strumenti per il processo telematico. E ancora oggi dobbiamo fare i conti con improvvise interruzioni dei servizi, di installazioni di aggiornamenti che bloccano l'accesso alla consultazione dei sistemi».
L’avvocato Luigi Viola del Foro di Lecce, esperto di intelligenza artificiale applicata al diritto, si spinge oltre. La digitalizzazione è ormai un processo che non si può fermare e ci attendono ulteriori novità. «La riforma Cartabia - commenta -, sul versante processuale civile, spinge certamente verso il digitale. Ne è prova un nuovo Titolo delle disposizioni per l'attuazione del Codice di procedura civile dedicato espressamente alla Giustizia digitale. Al contempo, viene data linfa al progetto di legge recante “Introduzione dell’articolo 5-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, concernente l’istituzione di una piattaforma telematica di giustizia predittiva in materia tributaria“ (n. C. 3593). Si tratta di Prodigit (progetto di digitalizzazione tributaria) che è finanziato con 8 milioni di euro (fondi Pon e Next Generation Eu) e prevede principalmente l’implementazione della Banca dati nazionale di giurisprudenza di merito, la realizzazione di un modello di cosiddetta giustizia predittiva e la creazione sperimentale del laboratorio digitale del giudice tributario denominato “TRIBHUB”».
Come funziona in concreto? «Si procede ad addestrare – spiega Viola - un’intelligenza artificiale tramite la somministrazione di circa un milione di sentenze tributarie. Successivamente, sarà possibile, si dice per fine 2023, interrogare Prodigit sul possibile esito di un processo tributario con tanto di percentuale di successo. Ad esempio, il cittadino potrebbe chiedere: per il fatto X, posso ottenere la tutela Y? Prodigit dovrebbe rispondere: nel numero di casi z% la giurisprudenza tributaria ha applicato Y al fatto X. Il modello di giustizia predittiva proposta è di tipo induttivo: si addestra tramite i casi». Ma attenzione, le criticità non mancano. «La gestione – conclude Luigi Viola - è affidata principalmente al ministero dell’Economia e delle finanze, cioè quel soggetto che, spessissimo, è parte del processo. Dunque, è a rischio l’imparzialità. Inoltre, si fa entrare di fatto uno strumento che segue una logica da Common law e non Civil law. In Italia la giurisprudenza precedente non è vincolante, ancorché utile».