Il Tribunale di Firenze ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in relazione al ddl penale di Nordio, e in particolare all’abrogazione dell’articolo 323 c.p., ossia l’abuso di ufficio. La domanda che sorge quasi spontanea è la seguente: quale tipo di Corte costituzionale, con quanti e quali giudici, si pronuncerà sulla questione?

La Consulta sarà chiamata nei prossimi mesi a decidere anche su altre questioni molto importanti: l’accesso alla fecondazione assistita per le donne single, i figli di due madri “cancellati” da alcune Procure dopo la circolare del gennaio 2023 del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, e le note prefettizie relative a tutti i casi di coppie omogenitoriali, il decreto Caivano in tema di processo penale minorile e di messa alla prova, i ricorsi delle Regioni Puglia, Campania, Toscana e Sardegna contro la legge Calderoli sull’autonomia differenziata e la questione sul blocco della rivalutazione delle pensioni, avvenuto su iniziativa della Corte dei Conti Toscana.

Come ha spiegato il professore, e avvocato, Vittorio Manes in un’intervista al Dubbio, «la Corte costituzionale è un organo tecnico, ma a composizione mista tecnico-politica: sarebbe ingenuo pensare che le valutazioni politiche non entrino affatto nel giudizio, ma sarebbe altrettanto azzardato, e forse ingeneroso, pensare che queste assumano un peso dirimente». Non è dunque del tutto inopportuno chiedersi che orientamento prenderanno i nuovi giudici rispetto a temi politicamente divisivi.

Come è noto, da quasi undici mesi la Camera e il Senato continuano a rimandare l’elezione di un nuovo giudice della Consulta, essendosi conclusi l’11 novembre 2023 i nove anni (suggellati dall’elezione a presidente) del mandato di Silvana Sciarra, eletta nel 2014 da un Parlamento in cui fu determinante l’indicazione di Pd e M5S. Il 24 settembre le attuali Camere si sono riunite per la settima volta in seduta comune con all’ordine del giorno l’elezione del nuovo giudice costituzionale, ma vi è stata l’ennesima fumata nera.

Eppure il 24 luglio era stato lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella a parlare di «vulnus alla Costituzione» rispetto alla mancata elezione del quindicesimo giudice. Il Parlamento ha fatto finta di non ascoltarlo. Lo stesso attuale presidente della Consulta Augusto Barbera, in una intervista al Sole-24 Ore, aveva dichiarato: «Sul punto mi sento di esortare sia i gruppi di maggioranza, ma anche quelli di opposizione, a procedere all’elezione del giudice mancante sin da adesso, evitando di cedere alla tentazione di un’impropria attesa per un inammissibile spoil system su organi di garanzia».

La legge, inoltre, prevede chiaramente che i giudici costituzionali con mandato scaduto siano sostituiti entro un mese in modo da non pregiudicare il buon andamento dei lavori di Piazza del Quirinale. Un obbligo costantemente disatteso, con situazioni di stallo che in alcuni casi hanno raggiunto il parossismo. Il motivo dei ritardi ha a che fare con gli equilibri politici e con le logiche di spartizione tra i partiti.

Teniamo anche presente che a dicembre scadranno i mandati di altri tre giudici: Giulio Prosperetti, eletto dal Parlamento in seduta comune su indicazione di Area popolare, quindi lo stesso Augusto Barbera e Franco Modugno, sostenuti rispettivamente, com’è noto, dal Partito democratico e dal Movimento 5 Stelle. Da gennaio 2025 i giudici da eleggere insomma sarebbero addirittura quattro, non più uno solo, e questo dovrebbe facilitare le trattative tra i partiti.

Come si eleggono i giudici costituzionali

La Costituzione prevede che i componenti della Consulta “spettanti” al Parlamento siano eletti con voto segreto e con la maggioranza dei due terzi dei deputati e dei senatori riuniti insieme. Questa soglia corrisponde oggi a 403 parlamentari sul totale dei 605 tra deputati e senatori. Se per tre votazioni il Parlamento in seduta comune non riesce a eleggere nessun giudice la soglia scende a tre quinti, ossia ad almeno 363 parlamentari. Come ha ricordato qualche giorno fa sulla Stampa l’ex responsabile della Comunicazione della Consulta Donatella Stasio, con i cambi di casacca di questi ultimi giorni, la maggioranza potrebbe anche contare su quota 363, ma il voto segreto non dà garanzie.

A gennaio 2024 Giorgia Meloni aveva rivendicato la sua prerogativa di dare le “carte” nella partita della Corte costituzionale, ma ora tutti i giochi sono aperti. La prospettiva più probabile è che la maggioranza riempia tre caselle vuote con una lasciata all’opposizione. In via subordinata, potrebbe entrare nella partita l’elezione (con la maggioranza dei tre quinti dei componenti l'assemblea) del nuovo membro del Consiglio superiore della magistratura, qualora la consigliera laica Rosanna Natoli, da poco sospesa, decidesse di dimettersi.

In passato nello stesso giorno il Parlamento ha eletto sia i giudici costituzionali che i membri laici del Csm, quindi non sarebbe assurdo che un accordo tra le parti tenesse insieme tutto. Certo l’ipotesi della marcia indietro di Natoli al momento sembra lontana, visto che l’avvocata siciliana è determinata a non mollare la presa. Tuttavia, qualora accadesse ciò che al momento appare improbabile, maggioranza e opposizione potrebbero sedersi al tavolo e discutere di cinque nomi, benché in teoria l’elezione di tutte le posizioni dovrebbe rispettare criteri di preparazione e cultura giuridica e non certo di appartenenza politica.

Se la maggioranza di centrodestra riuscisse a eleggere tre giudici su quattro, e considerando anche che alla Consulta c’è Luca Antonini, eletto dal Parlamento in quota Lega, si potrebbe ipotizzare una certa sensibilità della Corte costituzionale verso posizioni più vicine a quelle del governo. Toccherà, insomma, monitorare con attenzione.