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C’è un’aria nuova. Davvero. A voler semplificare, e infierire con piglio scandalistico, si potrebbe dire che il Csm riscopre la coerenza con le regole, e con il diritto. Ma non è così nel senso che sarebbe ingiusto rottamare i precedenti plenum come spericolate accolite di giuristi creativi. Fatto sta che ieri nel corso dell’assemblea, il Consiglio superiore ha votato a maggioranza per il ritorno in commissione di ben tre nomine da procuratore sulle quattro che erano “in palio” ( oltre che per un incarico semidirettivo al Tribunale di Roma).
Tanto per intenderci: si trattava, per tutti e tre gli uffici inquirenti “congelati”, di incarichi per i quali la quinta commissione della consiliatura precedente aveva proposto all’unanimità il nome del magistrato da nominare. Poi non c’era stato il tempo per l’ultimo passaggio in “aula” e le pratiche erano state lasciate in eredità al nuovo Csm. Che anziché approfittare del lavoro già fatto, per il 90 per cento, da altri, ha appunto preferito ripartire da zero, o quasi. Non uno scherzetto, considerato che il comitato di presidenza, e il vicepresidente Fabio Pinelli in particolare, pur di recuperare l’arretrato sulle nomine, avevano imposto pochi giorni fa addirittura la rinuncia temporanea alla “settimana bianca”, cioè il tradizionale pit- stop previsto una settimana al mese per consentire a consiglieri e uffici di mettersi in pari con lo studio dei fascicoli.
E insomma, se ieri si è deciso di rifare il lavoro da capo nonostante questa situazione di affannosa rincorsa, vuol dire che c’è la volontà di cambiare passo anche nel rigore con cui vagliare merito e presupposti di ogni singola scelta.
Ma in concreto, cos’è avvenuto? Che delle quattro Procure in gioco nel plenum di ieri, è stata assegnata solo quella di Rovigo, per la quale si è individuato il nuovo vertice in Manuela Fasolato. Da rivedere invece le scelte per gli altri uffici inquirenti in gioco: Sulmona, Santa Maria Capua Vetere e Nola. E qui è intervenuta la richiesta di una rigorosa revisione avanzata in particolare da un consigliere, Andrea Mirenda, eletto al Csm senza il sostegno di alcuna corrente, anzi come unico fra gli “indipendenti” ai quali la riforma Cartabia avrebbe dovuto spianare la strada. Relatore della pratiche su Sulmona e Santa Maria, Mirenda ha innanzitutto fatto notare che, per l’ufficio abruzzese, erano stati gravemente sminuiti i titoli di Maria Cerrato, che nella comparazione con Luciano D’Angelo si era vista sfavorita all’unanimità dalla quinta commissione nella precedente consiliatura. Il togato indipendente ha fatto ricordato agli altri consiglieri che ci si sarebbe esposti all’ennesima bocciatura della nomina da parte del Tar. Ed è riuscito a ottenere la maggioranza dei voti sulla propria richiesta di riesaminare la pratica. Qualcosa di simile è avvenuto per Santa Maria, l’importante Procura campana per la quale era in pole Marco Del Gaudio.
In questo caso Mirenda ha sottoposto al plenum quanto fosse difficile eludere la nota con cui l’avversario battuto da Del Gaudio in commissione, Pierpaolo Bruni, aveva contestato di aver visto ingiustamente sottostimato il proprio vantaggio curricolare, vale a dire il fatto di essere il solo candidato a poter vantare una precedente nomina da procuratore, assunta a Paola.
Dopodiché con un complicato effetto tecnico a catena, il plenum si è visto obbligato a riportare in commissione anche la nomina del nuovo procuratore di Nola, per la quale era stata indicata all’unanimità l’esperta pm Cristina Ribera.
Sembra un pasticcio. Ma in realtà è proprio la richiesta, avanzata da Mirenda e condivisa dalla maggioranza dei consiglieri, di evitarne di nuovi che costringe il Csm a ricominciare da capo. Anche per evitare da sbattere contro future sentenze dei giudici amministrativi.