La scomparsa dell'agenda rossa e di altri documenti, subito dopo la strage di via D'Amelio, è stata avvolta da un intrico di narrazioni, suggestioni e clamorose bufale. Basti pensare alla leggenda degli uomini in giacca e cravatta che avrebbero sottratto l'agenda dalle macerie ancora fumanti.

Questa tesi, alquanto surreale e fondata principalmente sulla deposizione del poliziotto Francesco Maggi, è stata però smentita dalle motivazioni di primo grado del processo “Borsellino quinquies”. D’altronde, un'attenta analisi delle testimonianze, a partire dal primissimo verbale dell'unico sopravvissuto della scorta, delinea un quadro diverso: poco meno di due minuti dopo l'attentato, è arrivata sul luogo la prima volante della polizia, subito dopo i vigili del fuoco e i magistrati. In poco tempo, la folla ha invaso la scena del crimine. Nessuno di questi testimoni ha avvistato presunti “man in black”.

Le indagini successive hanno ricostruito il percorso della borsa di Paolo Borsellino, che è passata di mano in mano fino ad arrivare, semivuota, alla questura. Come emerge da un bell'articolo di Saverio Lodato su L'Unità (pagina 3 del 21 luglio 1992), la valigia, con poco contenuto all'interno, fu depositata in una scatola di cartone e riposta in cassaforte da Arnaldo La Barbera, sotto gli occhi del giornalista e di altri colleghi.

Rimane dunque irrisolto il mistero della sottrazione dei documenti. Eppure, sappiamo con certezza, come riportato anche nell'ultimo libro di Vincenzo Ceruso, che almeno un documento contenuto nella borsa, il fascicolo di Mutolo, finì in Procura. Come sia avvenuto questo passaggio è un enigma che sembra non interessare, nonostante offrirebbe importanti indizi su chi ha sottratto i documenti dalla borsa.

Ancora una volta le intercettazioni del colloquio tra Totò Riina e la sua “dama di compagnia” Alberto Lorusso durante l'ora d'aria al 41 bis si rivelano utili. Queste intercettazioni, infatti, meritano di essere riascoltate, in quanto potrebbero svelare nuovi elementi. Entriamo nel merito. Nel colloquio del 29 agosto 2013, Riina parla dell'omicidio di Carlo Alberto Dalla Chiesa e discute sui documenti del generale che qualcuno avrebbe fatto sparire dalla cassaforte. Riina poi si domanda: «Perché, anche questa agenda rossa, cioè, le rilevazioni che aveva fatto questo… questo per quello... gli faccio io… perché c'è… c'è… non può essere perché sono presenti i Magistrati? Però, figli di puttana, era minchia, questi sbirri però ci interessano queste cose, si interessavano, si spaventavano». Lorusso concorda: «Certo, questo lo facevano perché si spaventavano... perché non... qualche notizia che poteva rimanere riservata, qualche notizia». E Riina afferma: «Minchia… prendi, porta… e se la tenevano per loro…».

Analizzando attentamente questo specifico passaggio, possiamo avanzare alcune interpretazioni. Riina, con l'espressione «Perché, anche questa agenda rossa, cioè, le rilevazioni che aveva fatto questo...», fa un chiaro riferimento all'agenda rossa di Borsellino e alle informazioni (“rilevazioni”) in essa contenute. La frase successiva, «Perché c'è... c'è... non può essere perché sono presenti i Magistrati?», è cruciale. Sembra suggerire che la scomparsa dell'agenda sia legata al suo contenuto, che coinvolgeva direttamente alcuni magistrati.

Nel dire «Però, figli di puttana, era minchia, questi sbirri però ci interessano queste cose, si interessavano, si spaventavano», Riina esprime frustrazione. Usa il termine “sbirri”, ma subito dopo aver menzionato i magistrati. Sostiene che questi “sbirri” fossero molto interessati a certe informazioni, ma allo stesso tempo ne erano spaventati.

Possiamo tentare una sintesi interpretativa. Riina sembra suggerire un forte interesse da parte di alcuni magistrati, da lui dispregiativamente chiamati “sbirri”, per il contenuto dell'agenda rossa. Questo interesse era però accompagnato da paura o preoccupazione. Riina implica che la presenza di questi magistrati abbia in qualche modo ostacolato la gestione delle informazioni contenute nell'agenda.

L'ipotesi è che Riina sospettasse un conflitto di interessi o una volontà di proteggere certe informazioni da parte di alcuni magistrati. Lorusso, confermando questa interpretazione, suggerisce che temessero la divulgazione di notizie riservate presenti nell'agenda. In conclusione, Riina sembra insinuare una complessa dinamica attorno all'agenda rossa, con i colleghi di Borsellino stessi che mostravano un duplice atteggiamento: interesse e timore, forse perché l'agenda conteneva informazioni compromettenti per alcuni elementi della Procura di Palermo.

Per una comprensione più approfondita, sarebbe necessario riascoltare le intercettazioni. E una prova concreta esiste: Il Dubbio ha infatti rilevato, in esclusiva, la presenza di Matteo Messina Denaro in via D'Amelio, rileggendo le intercettazioni di Riina. Questa scoperta confermerebbe anche le dichiarazioni dell'ex pentito Maurizio Avola, finora ritenute inaffidabili dalla Procura di Caltanissetta. In seguito alla pubblicazione del nostro articolo, la Procura di Caltanissetta, guidata all'epoca da Gabriele Paci, ha disposto, il 15 luglio 2021, un nuovo ascolto di quel passaggio, affidandolo alla Dia.

I risultati sono sorprendenti: grazie a un sistema di miglioramento dell'audio, non solo è stata confermata l'interpretazione de Il Dubbio, ma sono emersi nuovi elementi assenti nelle trascrizioni originali. È stato confermato che Riina, riferendosi a “quello della luce”, intendeva proprio Matteo Messina Denaro e ha menzionato anche il nome di Giuseppe, chiaro riferimento a Graviano. Quest'ultimo nome, va sottolineato, non era presente nella trascrizione originale. Inoltre, da quel solo passaggio emerge un ulteriore elemento di novità: Riina era a conoscenza del fatto che la sorella di Borsellino si sarebbe recata dalla madre, dettaglio assente nella trascrizione originale. Tutto ciò dimostra l'importanza di riascoltare tutte le intercettazioni, che potrebbero riservare ulteriori sorprese.

Un approfondimento da parte della Procura di Caltanissetta, attualmente guidata da Salvatore De Luca, sarebbe interessante. Ciò confermerebbe l'analisi documentata nel libro “La strage. L'agenda rossa di Paolo Borsellino e i depistaggi di via D'Amelio” di Vincenzo Ceruso. Venerdì scorso, a Roma, si è tenuta la presentazione del libro, organizzata dalla Comunità di Sant'Egidio presso la Basilica di San Bartolomeo all'Isola Tiberina. L'incontro è stato arricchito dai toccanti interventi di Lucia Borsellino e dell’avvocato Fabio Trizzino.

A concludere l'evento, le parole della presidente della commissione Antimafia, Chiara Colosimo. Durante l'incontro, l'avvocato Trizzino ha sottolineato che per comprendere l'operato di Borsellino non è necessario concentrarsi solo dietro la sparizione dell’agenda rossa. È noto, infatti, che Borsellino stava indagando su mafia- appalti, come confermato anche dai documenti desecretati recentemente dalla commissione Antimafia. Inoltre, aveva scoperto gravi fatti riguardanti la Procura di Palermo, come emerge dalle dichiarazioni rese al Csm, a fine luglio 1992, da alcuni magistrati e dalla sorella di Giovanni Falcone.

Come raccontato da Antonio Ingroia, sappiamo che Borsellino iniziò a prendere appunti sull'agenda dopo aver scoperto che Falcone teneva dei diari. I pochi appunti pubblicati (il resto è conservato in floppy disk ancora non resi noti, e sarebbe ora di farli uscire fuori) riguardano le dinamiche interne alla Procura. Falcone, su suggerimento di Rocco Chinnici, annotava tutto ciò che gli sembrava sospetto, temendo che i suoi nemici potessero nascondersi anche all'interno del palazzo di giustizia. Chinnici lo invitava a farlo, dicendogli che, in caso di morte, gli appunti avrebbero potuto aiutare a scoprire i colpevoli. Borsellino ha chiaramente seguito l'esempio di Falcone, ed era anche pronto a denunciare tutto alla Procura di Caltanissetta. Non fece in tempo.